Di Mariateresa Palazzo. Per quanto provi a voltarti dal lato opposto, per quanto provi a tapparti le orecchie e a far finta di niente sai benissimo cosa succede intorno a te. Le tre scimmie sagge al giorno d’oggi vedono, sentono e sanno parlare benissimo. In alcuni casi vedono troppo e sentono tutto ed è proprio per questa ragione che non si può parlare. Non si deve parlare.
E’ una delle leggi non scritte del codice mafioso.
Decidere di non parlare è una scelta più o meno libera, dettata dalla propria coscienza ma non solo. In alcuni casi non si può neppure parlare di una vera e propria scelta. Scendono infatti in campo delle forze che ti vorrebbero cieco, sordo e muto e che cercano di strapparti queste tue facoltà ad ogni costo. Leggi ormai radicate nel territorio, sedimentate nel tempo fino a costituire la forma mentis dei più. Sono capaci di annientare la tua legge morale, di renderti un automa che si uniforma alla massa dei silenti.
Il silenzio è mafia.
Le organizzazioni mafiose si cibano di silenzi e omertà. Crescono giorno dopo giorno nutrendosi dell’indifferenza circostante. Scegliere questa strada significa contribuire ad alimentare un sistema malato che distrugge tutto ciò che di puro e nobile esiste al mondo. Significa consolidarne le fondamenta, renderlo più forte. Ma non solo.
Vedere, sentire ma continuare a non parlare significa sporcare la propria coscienza coprendo chi si è sporcato le mani. Mettersi sullo stesso piano, macchiarsi dello stesso crimine. Tacendo, si fa tacere l’anima perché il convincersi di non aver visto e non aver sentito è solo un disperato tentativo di non guardare negli occhi la realtà dei fatti, di fronte alla quale la coscienza non potrebbe fare altro che risvegliarsi e inorridire. Si sceglie di diventare ciechi fino in fondo. Una cecità morale con la quale prima o poi bisognerà fare i conti.
Al di là dell’omertà legata alla terra natia, dovremmo parlare di quella individuale. La legge morale propria di ogni uomo dovrebbe sempre essere più forte del terrore di chi vuole coprire gli occhi e tappare la bocca. Omertà del cuore, omertà dell’anima.
C’è un senso di impotenza, rassegnazione, arrendevolezza, inerzia o forse semplicemente paura. Paura di denunciare e paura di tutto ciò cui si va incontro. Intimidazioni. Minacce. Ritorsioni. Vendette.
Inizia un calvario di cui non si conosce la fine ma di cui ben si conoscono le restrizioni. Ci si sente soli contro qualcosa di troppo grande. Ci si vede privati della propria libertà personale, un bene della quale importanza troppo spesso non abbiamo piena coscienza. Ci si chiede se davvero ne valga la pena.
La risposta è: si. Ne vale sempre la pena.
La vera libertà è quella interiore. E’ sentirsi liberi di parlare, di denunciare, di scegliere.
Senza sconti, senza bavagli.