Di Riccardo Fermani. Il campione di uno sport, la bandiera di una nazione, l’idolo che tutti i bambini hanno almeno una volta sognato di essere; Siona Tali “Jonah” Lomu il più forte di sempre. Non bastano alcuni numeri, come le 37 mete in 62 partite con gli All Blacks e le 15 marcature in due edizioni della Coppa del Mondo (record tuttora imbattuto) o l’elenco dei numerosi trofei vinti e onorificenze ottenute, per descrivere la leggenda del rugby, il giocatore più decisivo della storia, un campione dentro e fuori il campo.

Il neozelandese infatti è un mito ed un eroe per qualsiasi appassionato di questo sport e non solo. Cresciuto tra mille avversità, in uno dei quartieri più malfamati di Auckland, Lomuh è riuscito a scrivere la storia di una nazione, diventando il più grande di tutti i tempi, nonché l’icona di intere generazioni e che tutt’oggi non vede rivali. Purtroppo non sono bastate le sue colossali prestazioni e la sua mostruosa forza per vincere la partita più importante, quella con la vita. L’All Black numero 941, ha dovuto infatti affrontare durante la sua breve vita, l’avversario più temibile, il destino. Poco dopo l’affermazione mondiale, Jonah Lomu è stato infatti colpito da una terribile malattia renale, che lo ha costretto prima, a ritirarsi dal rugby giocato e gli ha tolto la vita poi.

Come detto precedentemente Siona Tali Lomu, conosciuto nel mondo come Jonah Lomu, nasce ad Auckland, precisamente a Mangere, un quartiere border line ed emarginato. Cresce in una famiglia tongana alquanto umile, ma tra una difficoltà e l’altra si mette in mostra ben presto nel college della sua città, il Wesley College, dove si afferma da subito come uno degli studenti più veloci e forti fisicamente pesando la modica cifra di 130 chili ed essendo alto 1.96 metri, al’età di neanche 18 anni. Sarà proprio la sua mostruosa forza fisica e straordinaria velocità a farlo debuttare da lì a pochi mesi con la maglia degli All Blacks, nel ruolo di ala; diventando di fatto il giocatore più giovane ad aver mai esordito con la Nuova Zelanda.

Dopo le prime apparizioni in nazionale diventa ben presto uno dei giocatori più richiesti tra i club del Super Rugby, il campionato dell’emisfero sud più conosciuto e spettacolare al mondo. Nell’arco di 10 anni, vince 2 trofei indossando dapprima la maglia degli Auckland Blues e successivamente quella degli Chiefs ed infine quella degli Hurracanes. Ma è proprio in questo momento, dopo la consacrazione mondiale, che la sua carriera e la sua vita scendono in campo per giocare la partita più importante. Infatti nel 2003, a ridosso con la coppa del mondo, fu diagnosticata a Jonah Lomu una gravissima malattia renale. Niente poté la sua forza fisica e mentale, la malattia diventava giorno dopo giorno sempre più importante finendo per corroderlo dentro. L’operazione di trapianto di un rene a parte del suo amico e speaker radiofonico Grant Kereama, rappresentò la luce in fondo al tunnel, un barlume alquanto fioco e lontano.

Niente e nessuno poteva fermare Jonah Lomu, né l’estremo inglese Mike Catt, al quale Lomu camminò letteralmente sopra  prima di andare a realizzare una sua meta né tanto meno una malattia apparentemente cosi grave. Non servirono infatti, molti mesi dopo l’intervento chirurgico, per rivedere il suo ritorno su un campo da rugby, questa volta però con la maglia dei Cardiff Blues, una franchigia gallese, per la quale giocò poco meno di una stagione. Tra infortuni, piccole esperienze e brevi ritiri, Lomu si ritrovò alla modica età di 34 anni a giocare per un club francese militante nella 3 categoria nazionale, dimostrando ancora una volta l’infinito amore e passione che destava per questo sport, che in così poco tempo gli diede così tanto, salvandolo prima da un futuro grigio e trasformandolo poi nella bandiera della sua nazione. In questo periodo, parliamo circa del 2007, fu ammesso nell’International Rugby Hall of Fame e gli fu conferita inoltre, l’onorificenza di membro dell’Ordine al merito della Nuova Zelanda, per il suo contributo al rugby.

Negli ultimi anni della sua vita, dopo l’annuncio del suo definitivo ritiro dal rugby agonistico, le sue condizioni psico-fisiche crollarono drasticamente. Il rene trapiantato stava dando segni di cedimento, urgeva un ulteriore trapianto, ma questa volta nessuno si rese disponibile all’operazione. L’ultima apparizione, il suo ultimo saluto, lo fece proprio durante la sua cara e amata coppa del mondo del 2015, della quale il gigante neozelandese fu nominato testimonial e qui più che mai vennero palesate le sue disperate condizioni di salute.

Johan Lomu muore il 18 novembre successivo, all’età di 40 anni, nella sua casa di Auckland, a causa di un arresto cardiaco. Il suo feretro viene esposto, per ricevere una pubblica commemorazione, nel mitico stadio di rugby della più importante città neozelandese, Eden Park: un vero e proprio tempio sacro per i tifosi locali. Inutile dirlo, la cerimonia fu senza dubbio da brividi, migliaia di persone sugli spalti con la maglia numero 11 degli All Blacks ed in campo una schiera di neozelandesi con indosso abiti tradizionali maori. Tutti uniti in un’ultima commovente Haka, la “Ka Mate”, la celebrazione della vittoria della vita sulla morte. Perché Jonah Lomu non morirà mai, nessuno dimenticherà mai la storia e le gesta dell’All Black numero 941, il più forte di sempre.

 

 

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