Di Gemma Gemmiti.E inizio come si dovrebbe finire un discorso, con un “grazie” dentro a un profondo sorriso. Domani si conclude il mio percorso all’interno del Laboratorio di giornalismo dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, tenuto dal prof. Marco Palma e dalle sue operose assistenti Giovanna Bacco e Giulia Capobianco. Sono arrivata alla fine (come quando seduta a tavola mangio prima l’albume e mi riservo il gustosissimo tuorlo al termine del pasto, per tenere con me ancora a lungo il sapore) questo è il mio ultimo esame della sessione e poi arriverà l’estate. Fa tristezza quando le cose belle finiscono, anche se ti hanno dato modo di crescere un po’.
Sono tante le cose che ho imparato, dentro a quei lunedì di intenso fare.
Ho imparato che un giornalista, uno vero, ha tra le sue prime parole il Rispetto.
Ho imparato ad aver Cura delle persone e delle “notizie” che esse sono.
Ho imparato ad ascoltare, io che di parlare non smetto mai.
“Siate giornalisti di vita” ripetuto come un mantra mentre dentro agli occhi del prof. passava la sua vita di inviato speciale, raccontando e tacendo episodi drammatici di guerre, devastazioni, momenti della nostra storia di uomini e di donne che abitano questa Terra. A volte senza meritarlo.
Potrei dire che per molti di noi si è fatto padre, perché molti di noi hanno vacillato in maniera preoccupante. Perché fuori dall’Università, la vita accade, e capita che ti cada il mondo addosso e che tu sia lì a guardare le macerie che ti ricoprono. Capita anche di incontrare dita e mani e braccia e persone che vengono a cercarti e che ti spronino in ogni modo a risalire su. Ho assistito a molti “salvataggi” e ogni volta mi sono stupita di come si riesca ad avere attenzione e fiuto incredibile a comprendere e anticipare crolli, per arginare i danni.
Lui, il prof. Palma, in questo è eccezionale. Come lo è ogni volta che ha invitato ognuno di noi a parlare di sé, di quel che abbiamo dentro, del nostro vissuto, della nostra storia, dei nostri macigni e delle nostre ali. Abbiamo conosciuto realtà molto diverse tra loro, che ci hanno aiutato a metterci nei panni dell’altro, senza giudicare, ma comprendendo come ogni diversità possa essere concreto arricchimento.
Eravamo un gruppo di circa quaranta persone, siamo diventati squadra, poi amici, e ora famiglia. Per questo scrivo e “bagno un po’ questa carta” tirando su col naso, perché io e gli addii non andiamo mai d’accordo. Sono incapace di mettere punti, adoro le virgole e, quando devo, vado a capo, per ricominciare senza abbandonare il ricordo del rigo superiore.
Ed è così che continuerò la mia strada, con dentro al cuore il regalo di questi mesi, quando persino la chiusura dell’Università per la pandemia Covid-19, non ha interrotto i rapporti. Noi siamo più forti. E quell’aula diventata “stanza senza più pareti” a un certo punto è rimasta vuota, ma con noi dentro, anche se a distanza, comunque presenti.
È stata àncora questa esperienza: ferma, decisa, forte, possente; sarà vela col vento in poppa che ci porterà verso il futuro. E credo e spero che tra noi possa nascere un/una giornalista che abbia fatto tesoro delle parole che abbiamo ascoltato, perché la corretta informazione è alla base della conoscenza, del discernimento, di questa parola a volte abusata che è “democrazia”.
Noi saremo anche vento prof, glielo prometto, perché lei, insieme a Giovanna e a Giulia, ci ha insegnato a navigare guardando non solo avanti, ma anche dietro, perché solo sapendo da dove si parte, si può decidere dove andare, responsabilmente, e nel mentre costruirsi, per aggiungere stoffa alle vele e riuscire ad accogliere sempre più vento, forti come ci avete insegnato.
E allora, e stavolta per finire, le dico grazie, attendendo con un grande sorriso di poterci incontrare ancora, tutti insieme a settembre per brindare alle cose belle.
Per brindare a noi.