Di Beatrice Tota. Un laboratorio atipico e un professore altrettanto fuori dagli schemi. Un insegnante che può ricordare per certi aspetti il Robin Williams del ‘’L’attimo fuggente’’, ma con la differenza che con noi non ha mai recitato. Mai entrato in aula con il copione della lezione preparato la sera prima, o leggendo il solito manuale da far comprare agli studenti. L’ho visto anzi, entrare in aula il giorno di Carnevale con due vassoi di frappe e con l’intento di trasmetterci la sua passione – detto tra noi, alla fine c’è anche riuscito-. L’ho visto e sentito motivato nella voglia di raccontarsi e presentarsi come ‘’Giornalista di vita’’. Lo scrivo sin da subito: dimenticatevi per un attimo delle 5W e dei tecnicismi della professione. Questo è un laboratorio dove nelle prime righe del pezzo si riporta se stessi come fatto più importante della giornata e della propria vita. Scommetto che in pochi si siano mai chiesti davanti ad uno specchio: chi sono io veramente? Io questa domanda l’ho sempre evitata. Quasi per paura di non essere all’altezza con me stessa (suona paradossale vero?).
Questo laboratorio ti obbliga a farti delle domande, in primis su te stesso e contemporaneamente sulla realtà che ci circonda. Ogni giorno viviamo storie, nei nostri differenti scenari di vita, che meritano di essere raccontate. Dar voce a quello che sembra il più insignificante dettaglio, ma che nella quotidianità ha un suo perché. Un laboratorio che mi ha fatto tanto ridere. Scrivere per il piacere di farlo e con la consapevolezza del perché sia giusto, senza mai doverlo fare come un obbligo. In verità, durante le lezioni preferivo parlare poco e ascoltare le storie che mi venivano raccontate e offerte dai miei compagni. Niente di più vero che il più grande arricchimento per se stessi viene dall’altro. Due storie mi hanno colpito maggiormente: quella di un ragazzo che ha saputo sfruttare una grande delusione per coltivare la propria passione e denunciare pubblicamente l’istituzione che tanto l’ha fatto soffrire; e l’altra, la storia di una bambina che in poco tempo è stata presa nelle braccia del signore e portata via dalla povertà del suo villaggio. Storie che sono arrivate perché narrate con il cuore e con la consapevolezza che raccontarle fosse la cosa giusta. Ma c’è una frase che ricorderò per tutta la vita, sia se mai riuscirò veramente ad intraprendere questa professione, o se tutto questo rimarrà soltanto un bel ricordo senza concretizzarsi. Riguardo alle famose 5W che ho citato sopra, quando chiesi al professore come fare per applicarle correttamente all’interno di un pezzo, senza giri di parole mi rispose: ‘’Io ho dovuto raccontare scenari di guerra. Come avrei potuto descrivere le bombe e gli spari rispondendo alle 5W? Ci sarebbero tante cose da dire sul laboratorio, ma questa risposta mi sembra quella che al meglio sintetizzi tutti questi mesi di giornalismo di vita. Un giornalismo che mi ha fatto scoprire la bellezza del render noto, di dare la giusta dignità a tutto ciò che ci circonda. Da abitudinaria quale sono, sarà un immenso dispiacere non frequentare più le lezioni. Continuerò a scrivere con la passione che mi è stata trasmessa, ricordando di quanto fosse eccezionale (nel vero senso del termine) tutto ciò che ha circondato il laboratorio. Quando mi sono iscritta all’università non avevo la più pallida idea di cosa stessi facendo. Stavo perdendo tempo cercando una passione che non sarebbe mai arrivata, o sfuggivo dall’idea di cercare un lavoro fisso accontentandomi di tutto ciò che sarebbe capitato? Ora posso dirlo con certezza: voglio diventare una giornalista, ma una giornalista di vita.