Di Mirko Vinci. “Un giorno anche noi avremo una casa e si chiamerà Roma”. È con
questa affermazione che la Lupa, rivisitata in questa occasione nella figura di una capo
tribù, palesa l’obiettivo di questa miniserie televisiva. Non è una novità che Sky
Atlantic si faccia carico di dare alla luce progetti di alta qualità e diretti da registi di un
certo calibro. Alcune storie non possono accontentarsi di una riduzione ad una
manciata di ore sul grande schermo, se ne snaturerebbero le dinamiche interne a
livello di trama, così come lo sviluppo dei ritratti psicologici dei diversi personaggi. La
via di rappresentazione migliore è allora quella di una miniserie divisa in diverse
puntate, in cui il tutto ha il giusto tempo per fermentare: ne è l’esempio calzante il
nuovo sforzo di Matteo Rovere, “Romulus”. Un viaggio nel tempo che trasporta lo
spettatore in una realtà lontana in cui Roma non era altro che una fugace idea nella
mente di uomini selvaggi desiderosi di un riscatto. Diversi sono gli aspetti che
stupiscono a primo impatto, dalle ricostruzioni meticolosamente fedeli dei paesaggi
e dei villaggi, sino alle credenze mitologiche che all’epoca dettavano azioni e rapporti
tra gli uomini. Non si può fare a meno il non notare la rivisitazione atipica del racconto
che diverge sotto tutti gli aspetti da quello che chiunque è stato abituato ad ascoltare
sin da piccolo: una mossa intelligente che incolla alla poltrona e che fa chiedere
continuamente all’esperto fino a che punto la storia di Matteo Rovere possa stupirlo.
Una decisione azzardata, che offre una visione della nascita di Roma da un lato della
medaglia del tutto nuovo che non si può fare a meno di non amare: la regia italiana
dimostra con grande capacità di poter tenere testa alle offerte estere con un prodotto
di alta qualità che si presenta al pari di grandi kolossal storici e fantasy come il trono
di spade. Il legame fraterno qui esce dalla sfera dell’ambito famigliare vero e proprio,
sottolineando quanto due ragazzi provenienti da due mondi del tutto diversi, come
nel caso dei due protagonisti, possano unirsi anima e corpo in un unico organismo
dotato dello stesso obbiettivo di riscatto verso quel mondo che li ha emarginati,
divenendo in questo modo fratelli. Fratelli non di sangue, ma di lealtà, di onore, di
ceca obbedienza ed assistenza reciproca. Un messaggio cristallino, chiaro che vede
luce anche nella società odierna. Non importa a che rango sociale appartieni, non
importa il tuo status o il tuo reddito, ciò che conta è la persona, che messa a nudo,
spogliata di ricchezza è esattamente uguale a tutte le altre, persino a quelle
considerate “inferiori” dalle stesse. È qui che entra in gioco l’umanità ed è qui che
entra in gioco la finalità che ne segue: la solidarietà tra gli uomini, che sia per la nascita
di una città o per qualsiasi altro motivo, rimane l’arma più forte che la natura abbia
mai conosciuto.

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