Di Sara Scarozza. Un solo grido, ovunque in Italia si urla la parola “verità”, si voglio delle risposte sul caso Regeni Basta giri di parole per difendere un paese come l’Egitto che ci sta prendendo in giro, che mette la mano sul fuoco pur di dare la loro più sincera verità e poi la tirano. Il mondo intero chiede la verità, e forse ad oggi vedendo la realtà dei fatti anche l’Italia sta rivedendo i rapporti con l’Egitto. Tutti sono in diritto di sapere quello che è successo a Giulio Regeni dal 25 Gennaio 2016, giorno della sparizione, fino al 3 Febbraio quando il suo corpo è stato ritrovato senza vita, in un modo inverosimile, macabro, che neanche una persona accecata dalla rabbia avrebbe potuto fare, partendo dalle decina di ossa rotte per tutto il corpo arrivando ai tagli e contusioni sparse dalla testa ai piedi. Vogliamo sapere chi è il suo assassino o meglio gli assassini. Non sono più accettate mezze misure, niente più ma o forse, si vogliono le prove concrete, quelle che ci stanno nascondendo. Il direttore dell’amministrazione generale delle indagini di Giza è riuscito a dire che si trattava di un semplice incidente stradale, la polizia egiziana invece sostenne l’ipotesi che l’omicidio aveva a che fare con dei motivi personali, come l’omosessualità o addirittura dei conti in sospeso per traffico di stupefaciente. Nessuna di queste ipotesi era lontanamente paragonabile alla figura di Giulio, giri infiniti di parole e mille ipotesi ma la verità chiede ancora ad alta voce di essere rivelata. Le autorità egiziane avevano inizialmente assicurato la loro piena collaborazione, ma le parole sono facili da dire ma difficili da mantenere specie se per un paese come l’Egitto sono scomode. Le autorità italiane hanno potuto interrogare per un brevissimo tempo pochi testimoni, ma la cosa che lascia ancora più perplessità è che queste persone erano state interrogate precedentemente per svariate ore dalla polizia egiziana.  Le riprese video della stazione metropolitana dove Regeni è stato visto per l’ultima volta sono state cancellati, i tabulati telefonici del quartiere dove viveva e della zona sono stati negati senza neanche un minimo di esitazione. Si continua ancora ad aggiungere menzogne su menzogne a seguito delle autopsie da parte dei medici italiani e egiziani che sono state eseguite separatamente. La relazione forense egiziana conta miseramente 91 pagine mentre quella dell’autopsia non è stata neppure resa pubblica, neanche a dirlo il dossier è stato giudicato come carente e incompleto dal ministro degli esteri di fronte alle 300 pagine contenenti i risultati dell’autopsia italiana. Con la pressione che gli stava sulle spalle solo nel Settembre 2016 il governo egiziano ha avuto la “bontà” di consegnare i tabulati telefonici. Altre bugie che si aggiungono alla valanga di quelle dette in precedenza, il tutto si sta ripetendo in questo momento per la seconda volta e nessuno fa nulla. Patrick George Zaki, 27 anni, attivista e studente all’università di Bologna, che resta in stato di detenzione preventina in Egitto nella prigione del Cairo dallo scorso Febbraio. Tenuto in condizioni disumane anche lui, chiede solo una cosa, urla con tutta la sua voce al Governo Italiano di non voltargli le spalle come hanno fanno con Giulio Regeni. Si chiede solo dell’umanità, di usare i poteri che gli hanno conferito per potersi definire una persona libera e tornare ad abbracciare la sua famiglia. Questa volta le bugie magari saranno di meno e il tutto non finirà con un altro italiano morto per mano del governo egiziano, ma in caso contrario la verità sarà ancora più dificile da trovare, nascosta in modo impeccabile dietro ad una fortezza che ha delle basi solide fondate su menzogne indistruttibili.