Di Beatrice Ponzo. Un volo…con i piedi per terra…o quasi. Eppure quella sensazione si può provare: per qualche attimo…che fanno secondi se messi assieme. comunque istanti irripetibili che scaricano adrenalina: che solo chi prova un’emozione del genere può descriverle, certamente ripeterle….e mai abbandonarla.
Madre Natura è stata matrigna con noi esseri umani in quanto non ci ha donato la capacità di volare ma ha inciso nel nostro DNA il desiderio incolmabile di farlo.
Questa prospettiva cambia completamente se si decide di intraprendere una nuova avventura come traceur: cioè praticante di parkour, sport estremo che consiste nell’andare dal punto A al punto B nel modo più veloce e fluido possibile. Fin da subito si impara ad utilizzare il proprio corpo come fanno gli uccellini quando devono staccarsi dal nido: buttandosi senza paura. Per me è stato esattamente così e nonostante abbia iniziato a praticarlo da pochi mesi sento già una maggiore padronanza di me stessa che mi porta a voler saltare sempre più in alto, più distante.
Il parkour non è da sottovalutare come strumento di volo in quanto spinge chiunque lo pratichi a superare i propri limiti: spiccare il volo senz’ali non è più un’utopia ma un obiettivo da raggiungere a tutti i costi e, talvolta, ci si riesce.
È davvero un peccato che non sia ancora riconosciuto come una disciplina sportiva vera e propria nonostante venga praticato a livello amatoriale in tutto il mondo da decenni (video con milioni di visualizzazioni su Youtube ne sono la prova) ma i traceurs sono sempre più determinati a diffondere il parkour presentandolo non solo come una via d’uscita dall’ordinario ma soprattutto come un mezzo capace di far toccare a chiunque il cielo con un dito.