Di Francesca Zaza. Padre e figlio, entrambi medici legali, la salma di una donna ed un ambiento chiuso, che quasi suscita una sensazione di angoscia : sono sufficienti questi tre elementi per realizzare ‘’Autopsy’’, un film del 2016 diretto da A. Ovredal e presente sulla piattaforma Netflix.

Via i soliti e ormai quasi banali canoni tipici del genere dell’orrore: niente case abbandonate o vecchie bambole maledette, questa volta al centro della proposta cinematografica della settimana vi è un horror del tutto originale. La storia infatti è ambientata interamente in un terrificante obitorio e negli uffici circostanti.

Eppure, cambia il luogo ma le emozioni che esso suscita nello spettatore sono sempre le stesse: suspense,paura, mistero e un clima teso, a tratti soffocante.

 

Nello scantinato di una casa in cui è avvenuto un omicidio viene ritrovato anche il cadavere di una giovane donna, di cui però nessuno è a conoscenza del nome. Per tale motivo è stata denominata Jane Doe. Il suo corpo diventa oggetto di analisi di due uomini, padre e figlio, incaricati di eseguire l’autopsia della ragazza al fine di individuare le cause della sua morte, a loro ignote. Ciò che stupisce i due è che la salma è in condizioni incredibilmente perfette, senza alcuna traccia di ferite o particolari segni evidenti.

Ma allora cosa ha ucciso Jane? E’ questa la domanda a cui gli esperti della medicina legale tentano di trovare una risposta, che possa completare il quadro clinico della protagonista e svelare il mistero. Man mano che l’analisi procede, vengono scoperti sempre più caratteristiche , tra le quali vi sono i polsi e le caviglie fratturate, la lingua mozzata e ultimo ma non meno importante il particolare della mosca che esce continuamente dal naso della donna.

Insomma se all’esterno il cadavere della giovane Doe appare splendente e inerte, dentro di lei , in realtà, ci sono le tracce indelebili di un dolore troppo grande da sopportare e di una sofferenza che è arrivata a consumarla e a renderla del tutto inerme.

 

Non manca di certo un realismo a dir poco agghiacciante per quanto riguarda l’analisi autoptica, senz’altro gradevole per il pubblico. Ma quello che non è passato inosservato agli occhi dei ‘’più attenti’’ ai dettagli, è la lentezza relativa alla scoperta della verità, che accompagna gran parte del film e che sembra essere l’aspetto meno soddisfacente della storia.

 

Quella mancata dinamicità viene però subito ricompensata dalla notevole attenzione data alla psicologia dei protagonisti indiscussi, ossia i due medici. In particolar modo, colui che viene analizzato in maniera approfondita è Tommy Tilden, il padre. In effetti lo si vede più volte alle prese con i sensi di colpa, che lui stesso avverte, per la morte della moglie. La scelta del regista, di voler raffigurare più umanamente possibile i due personaggi, permette un conseguente e inevitabile avvicinamento da un lato con il pubblico, e dall’altro con la donna deceduta. Difatti, Tommy è molto vicino a Jane più di quanto lui creda, e per tale motivo è quasi costretto a vivere una strana vicinanza empatica con la vittima.

 

Ciò che più colpisce è però la straordinaria connessione tra l’ambiente interno, che è poi la sala in cui si effettuano le autopsie, e quello esterno, altrettanto lugubre e tenebroso. Non è un caso, infatti, che fuori stia per arrivare una terribile e spiacevole tempesta. In tal modo viene dunque a crearsi una sorta di simbiosi tra i due ‘’mondi’’, profondamente simili nelle sensazioni che le loro atmosfere suscitano.

 

Quanto al finale, nonostante non rispecchi pienamente le aspettative iniziali, la rivelazione del fatidico mistero riesce comunque a non deludere lo spettatore e a mantenere quella tensione e quel coinvolgimento che poi caratterizzano l’intero film.

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