Di Valentina Fabbrini. Locali tecnici, ex-scuole, vecchie caserme abbandonate all’incuria vengono riconvertite in palestre sociali per volontà di giovani e adulti che vogliono poter usufruire di determinati locali per risanare le difficoltà sia economiche che sociali che si prospettano agli occhi di tutti in diversi quartieri periferici delle grandi città.
Tra il 1990 e il 2000 si ha avuto un maggiore riscontro di riconversione di ambienti malsani in palestre cosiddette “popolari”, nome attribuitogli per evidenziare la divulgazione dello sport non più come fenomeno di etichetta d’èlite bensì accessibile a tutti.
Ci ritroviamo a frequentare per lo più palestre che non hanno aiuti dalle istituzioni, svolgono attività sportive senza permesso in quanto si tratta di locali occupati e come già accaduto nel corso degli anni, coloro che si definivano responsabili delle medesime palestre non avevano neppur acquisito la qualifica per poter svolgere il ruolo competente sia nell’attività sportiva che per il settore direzionale.
Locali occupati che vengono minacciati per sfratti e cessazione delle utenze senza le quali non sarebbe garantita la sicurezza nello svolgimento della pratica sportiva.
Queste condizioni generano stati di ansia e paura nei confronti di chi ha impiegato energie e volontà per far sì che ragazzi e adulti potessero praticare sport liberamente senza esser condizionati dalle mensilità che richiederebbero le comuni palestre.
Difatti tra le diverse caratteristiche che vantano le palestre popolari rispetto alle altre, riscontriamo prezzi accessibili a tutti con mensilità ridotte fino a €30 circa o come accade ad esempio per la palestra popolare nel quartiere Tufello, di Roma, si organizzano cene di autofinanziamento per contribuire nel pagamento delle quote per chi si trova in condizioni economiche di maggiore difficoltà.
Al fine di suscitare maggior interesse nella sensibilizzazione dell’inclusione sportiva e accessibilità economica e sociale rivolta a tutti i cittadini; le palestre organizzano eventi e/o iniziative in collaborazione con i commercianti del quartiere dove sono ubicate nonché quelli limitrofi, evidenziando così una realtà spesso sottovalutata dalla platea.
Un secondo elemento di differenziazione per cui intraprendono una lotta le palestre popolari è la necessità di non dover curare solo l’aspetto fisico rispecchiando le imposizioni dei canoni di bellezza ma di educare al concetto: “lo sport è un diritto per tutti”.
Ragazzi, bambini e adulti vivono un ambiente fatto di fatica, regole e orari da rispettare che li invita a raggiungere traguardi e soddisfazioni con determinazione e costanza nello sport.
L’obiettivo principale che si pongono le palestre sociali è proprio quello di dare ai bambini e ai ragazzi del quartiere un’alternativa alla strada uno spazio dove trascorrere il tempo libero e fare amicizia.
Sport come veicolo di socializzazione, crescita collettiva e momento di aggregazione.