Di Daniele Annibali. Un film che analizza l’uomo nel suo stato più peccaminoso e decadente. Un film che si pone delle domande e che lascia le risposte allo spettatore. Un film che usa la mitologia e il folklore per cercare di mostrare il lato più orrorifico dell’inconscio umano. Siamo nel 1890. Due guardiani del faro, Ephraim Winslow (Robert Pattinson) e Thomas Wake (Willem Dafoe), si recano in un’isola ignota, enigmatica ed oscura. Diversi elementi emanano un sentore di cattivo presagio: Il mare inneggia alla violenza, i gabbiani scrutano i protagonisti, le nuvole coprono il cielo senza far passare nessun tipo di chiarore. L’unica lucentezza rimasta è la luce in cima al faro, che simboleggia l’aspetto utopico dell’uomo. Attraverso il suo fascino quasi venereo, corrompe lo stato d’animo di Ephraim Winslow, rendendolo schiavo di sé stesso. Questo è “The Lighthouse”, opera cinematografica del 2019 diretta da Robert Eggers. dell’inconscio umano.
Le sequenze descrivono dei continui riferimenti ad alcune opere letterarie, come ad esempio “The Rime of the Ancient Mariner” di Samuel Taylor Coleridge, oppure ai diversi racconti di H.P. Lovecraft. La trama potrebbe essere considerata anche come un riadattamento contemporaneo della storia di Prometeo, personaggio della mitologia greca, che raffigura l’ideologia dell’uomo. Quello che veramente colpisce è sicuramente la tecnica adottata per la produzione del film: girato in 35 mm, aspect ratio 1:33, bianco e nero, l’opera rende omaggio, con una contestualizzazione onirica, al cinema tedesco degli anni ’20 (espressionismo e kammerspiel). Il risultato è un incubo ad occhi aperti.
Robert Eggers, dopo l’esordio alla regia con “The Witch” nel 2015, riesce a cambiare la concezione del genere horror, firmando un film pessimistico, struggente, malvagio, dove la figura umana “superba” viene smembrata dalle sue stesse azioni.