Di Giorgia Rinaldi. Il carcere, una realtà che a volte sembra così lontana e al di fuori del nostro immaginario quotidiano. Il carcere, una realtà in cui pensiamo che la morte, dentro le celle, si sconta vivendo, come un luogo di punizione, tortura, che spesso uccide. In realtà il carcere dovrebbe essere un’istituzione con una funzione rieducativa e riabilitativa degna di nota. La nostra Costituzione ha infatti stabilito una funzione ben chiara sulla detenzione ovvero, quella di trasformare il comportamento del detenuto per riportarlo nella società, dopo aver instaurato in lui un nuovo quadro di valori. Ma se riflettiamo bene, nel nostro paese, è davvero così? Basti guardare i dati; in Italia ogni 10 detenuti che escono, 7 ritornano a delinquere. Ma la rieducazione carceraria attualmente esiste davvero? Le condizioni delle carceri italiane sono davvero quelle giuste per dar vita ad un uomo nuovo capace di non ritornare sugli st
essi errori?
La risposta è no, nella nostra società spesso è la stessa istituzione carceraria a frenare l’individuo nel compiere azioni sbagliate. È la paura di vedere limitata la propria libertà individuale in condizioni degradanti, dove l’umanità non esiste, a fermare l’istinto animalesco dell’essere umano, che si sa, può spingere l’individuo a fare di tutto. Questo perché le carceri italiane ad oggi sono un inferno; oltre al tasso di affollamento che è al 150%, i piani di recupero sono quasi inesistenti. Secondo il report di Antigone, associazione per “i diritti e le garanzie nel sistema penale” che negli ultimi 12 mesi ha svolto 67 visite in 14 regioni italiane, si registra un aumento del tasso dei suicidi al 13,5%, il 33% dei detenuti è in carcere anche se non ha ancora ricevuto una condanna definitiva e si conferma un fortissimo squilibrio tra personale di custodia e personale dell’area preposto alla reintegrazione sociale delle persone detenute. La rieducazione carceraria, fine ultimo dell’istituzione stessa, in Italia non funziona, a causa anche del sovraffollamento che comprime le strutture per le attività in comune dei detenuti e gli stessi spazi vitali. Sono quasi inesistenti i piani di recupero, sono insignificanti e svogliate la maggior parte delle terapie e delle sedute psicologiche. Sono nulli e mortificanti i progetti di inserimento in ambiti lavorativi e in realtà sociali. Ma soprattutto, numerose sono le violenze all’interno delle carceri italiane. C’era un vecchio detto sui manicomi: chi ci lavorava era più pazzo di chi era rinchiuso. C’è un detto sulle carceri: chi ci lavora è più criminale di chi è rinchiuso. Quindi questa dovrebbe essere la rieducazione carceraria degli ultimi tempi? Tanti sono gli esempi di violenza di massa e torture nelle carceri italiane, l’esempio più recente è quello del 6 aprile nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in cui gli agenti penitenziari organizzano delle spedizioni di perquisizione a sorpresa. Vengono perquisite 292 persone. Ma perquisire qui in Italia vuol dire picchiare, umiliare, seviziare, torturare. Il video pubblicato su “Domani” mostra bene questa perquisizione; un insieme di agenti che fa sfilare i detenuti a testa bassa, mani al cielo, come bestie che vengono premiati da manganellate, pugni, sputi, urina, calci e ispezioni anali con il manganello.
“Non si è salvato nessuno, abbiamo vinto, abbiamo ristabilito un po’ l’ordine e la disciplina”, queste le parole di un agente penitenziario, questa l’idea di ordine e disciplina. La maggior parte dell’opinione pubblica si è schierata contro questi atti di violenza ma purtroppo si pensa ancora che è l’ennesimo caso isolato e che non si può fare di tutta l’erba un fascio. È vero, ma se uniamo i puntini ci si accorge che viene fuori un disegno integro e ben organizzato. Viene fuori una violenza che è un sistema, con tanti responsabili e mandanti, direttori, capi-reparto, con omissioni di medici. Ogni giorno vengono attuate torture e violenze nelle carceri italiane ma noi ce ne ricordiamo solo quando abbiamo un biglietto gratuito offerto dalle telecamere di sicurezza, che ci permette di vedere con i nostri stessi occhi questo spettacolo degli orrori, ci permette di vedere un uomo in sedia a rotelle ricevere manganellate sulla schiena ma soprattutto ci permette di farci un’idea sulle carceri che non dovrebbe basarsi su questi episodi di violenza. Dopo aver visto queste immagini, come si può dar fiducia ad un’istituzione che dovrebbe garantire protezione, sicurezza e rinascita? Come si può non pensare che le carceri siano lo scarto della società, quando dovrebbero essere istituzioni con un’importanza primaria, ancorate ad una mentalità antidemocratica? Voi immaginate la terribile sensazione di essere mortificati e riempiti di botte dallo Stato? Come fai a rialzarti quando addosso hai la sensazione di essere violato da uno stato intero, con leggi e valori? Come fai a riprendere a camminare tra la gente quando la stessa mano che impugna la tua sicurezza e la tua libertà è la stessa artefice della tua tortura? Non è un caso isolato, si parla del peggior tipo di violenza, la violenza di Stato; ad oggi ci sono otto indagini in corso per episodi di tortura in altre carceri italiane. Un passo in avanti per risolvere questo problema, è la campagna lanciata da Amnesty, organizzazione internazionale che lotta contro le ingiustizie e in difesa dei diritti umani nel mondo, per applicare “i codici identificativi” agli agenti di sicurezza, in maniera tale che ci sia maggiore trasparenza in episodi come questi, in maniera tale che nessuno possa farla franca quando si abusa del proprio stesso potere sull’incolumità del prossimo. Ma quando la violenza è una violenza di Stato bisogna agire sullo stato stesso, bisogna rivedere l’educazione degli agenti di polizia, bisogna combattere la divisione e l’odio che intercorre tra cittadini e forze dell’ordine ormai da troppo tempo. Ma più d’ogni altra cosa bisogna intervenire sull’istituzione carceraria. Serve una politica decisa, unita per formulare una nuova idea di carcere, dove la pena si sconta maturando, cambiando, dove la giornata non passa lenta s’una branda sporca e senza nemmeno poter fare una doccia calda, dove gli agenti non si nascondono dietro un casco torturandoti ma ti aiutano e ti fanno capire che c’è uno stato intero alle spalle, pronto a farti rinascere.