Di Chiara Giacomini. “Me Too”, “Moi aussi”, “Yo también” e chissà quanti altri modi di dire “Anch’io”. “Anch’io sono stata molestata, anch’io sono stata violata, anch’io sono stata vittima di stalking, anch’i
o…” Tutte queste esperienze condivise fanno rabbrividire, spaventano noi donne ma allo stesso tempo ci fanno sentire meno sole, più “comuni”. È successo a lei e ad altre milioni di donne, dovrei sentirmi più rassicurata o terrorizzata? È un paradosso che spaventa più della questione in sé. Queste condivisioni hanno fatto sì che si creasse una campagna volta proprio a denunciare le molestie, le violenze, gli abusi commessi dagli uomini nei confronti delle donne. Il movimento nasce nel 2017 quando iniziano ad uscire fuori le prime inchieste giornalistiche da parte del New York Times e il New Yorker sulle molestie e sugli abusi sessuali compiuti dal produttore cinematografico Harvey Weinstein. Il caso divampa, se ne parla dovunque e iniziano ad uscire nomi di moltissime donne molestate da Weinstein note in tutto l’ambiente cinematografico statunitense e non: Uma Thurman, Cate Blanchett, Angelina Jolie, Cara Delevigne ma iniziano ad esserci anche nomi italiani, come quello di Asia Argento che riporterà la molestia inflittale dal produttore. Sono tante le dichiarazioni, si arriverà a contare circa novantrè nomi di donne vittime di Weinstein e quattordici affermano e testimoniano di essere state stuprate dall’uomo. Il movimento nasce sui social e ha come obiettivo, l’intento di far sentire meno sole quelle donne che sono state violate da un uomo, ma allo stesso tempo vuole far capire come il problema sia più vasto rispetto a quanto si pensi. L’hashtag #MeToo solo nei primi due giorni “di vita” venne citato per oltre 500.000 volte; ad oggi, ovviamente si è perso il conto. Non siamo mai sole, siamo circondate da donne che hanno subito ciò che abbiamo subito noi, forse in altre forme, con altri mezzi ma siamo state tutte soggette a qualcosa che molto probabilmente andava contro la nostra volontà. Purtroppo nel mondo in cui viviamo le donne che hanno il privilegio, perché di privilegio trattasi, di poter evitare di dire “Anch’io”, sono molto poche.