Di Cristiano DeAngelis. Populista, tendente a volte al superficiale se non al banale :il giorno in cui l’Italia capirà che il cinema non viene realizzato solo per gli oscar o per far capire che sono arrivate le festività, e tornerà ad avere qualcosa da dire al pubblico senza escludere per un motivo o per un altro due terzi della popolazione italiana, allora forse saremo pronti a tornare alla ribalta come il paese di artisti che siamo.
Non è un mistero che l’Italia sia stata un paese di vitale importanza nella scrittura della storia del cinema, eppure nonostante questo nostro storico contributo sembra che al giorno d’oggi il Bel Paese ne sia totalmente escluso. E’ quasi impossibile infatti vedere opere italiane esportate all’estero e quelle poche pellicole che riescono a venire proiettate al di fuori della penisola tendono raramente a vincere il favore del pubblico: sebbene ci siano prodotti made in Italy riconosciuti anche a gli Academy Awards la loro permanenza nella cultura popolare estera è stata pressoché nulla.
Tutto ciò sembra quasi paradossale se si pensa che nella seconda metà del 1900 l’Italia era a cavallo della rivoluzione cinematografica con registi come Federico Fellini, Sergio Leone, Dario Argento e Pier Paolo Pasolini e studi all’avanguardia per il tempo come lo erano i Cinecittà Studios, eppure è così; sfortunatamente l’ondata di mediocrità che ha colpito il cinema italiano non solo ne ha abbassato considerevolmente la qualità ma ne ha anche praticamente annullato il valore commerciale in quanto i prodotti maggiormente rilasciati non hanno una storia, una recitazione o una fotografia degne di nota, si basano infatti su battute e intrecci banali e gran parte dell’umorismo è solitamente sostenuto da giochi di parole ed equivoci dovuti alla differenza di dialetti italiani che sfortunatamente quasi mai possono essere tradotti con successo da una lingua ad un’altra.
E so che probabilmente molti di voi staranno pensando a grandi nomi italiani attuali come possono essere un Gabriele Mainetti o un Paolo Sorrentino ma questi talenti non sono che una minoranza presa davvero poco in considerazione basti pensare al fatto che il primo non è mai arrivato lontano oltre il confine italiano e il secondo nonostante una vittoria e una candidatura all’oscar raramente viene discusso; non perché non sia un regista talentuoso anzi il contrario, Sorrentino ha solo un problema, che è lo stesso di molti registi italiani; quando scrive o dirige lo fa per una nicchia.
Per “dirigere per una nicchia” non vuol dire “avere un target o una demografica in mente” che è alla base di ogni prodotto multimediale ed è necessario ma scrivere un’opera con un obiettivo così preciso che finisce per far sentire alienato lo spettatore comune, nel caso de la grande bellezza lo scopo era vincere premi, uno scopo che ha soddisfatto egregiamente e a pieni meriti ma al prezzo di aver perso ciò che rende il cinema l’arte del popolo ovvero la fruibilità, non è raro infatti quando si parla di questo film sentire persone che si lamentano del pacing, dei dialoghi, della durata o semplicemente ricevere la risposta: “ma io non ci ho capito nulla” oppure “io ho capito tutto lo considero un capolavoro sono gli altri che sono poco svegli” ma il punto è un altro; il cinema è stato inventato come un’arte che potesse essere apprezzata da tutti, è questo che gli da il suo potere e la sua rilevanza, un’opera cinematografica dovrebbe essere in grado di avere vari livelli di lettura e di apprezzamento: il cuoco che va a vedere un film nel suo giorno libero dovrebbe essere in grado di godersi quel prodotto quanto lo studente di regia che lo guarda per motivi didattici sebbene per motivi diversi e viceversa; e questo vale per sorrentino tanto quanto per i vari cinepanettonisti il giorno in cui l’Italia capirà che il cinema non viene realizzato solo per gli oscar o per far capire che sono arrivate le festività, e tornerà ad avere qualcosa da dire al pubblico senza escludere per un motivo o per un altro due terzi della popolazione italiana, allora forse saremo pronti a tornare alla ribalta come il paese di artisti che siamo.
Fino ad allora possiamo solo imparare dagli errori commessi in passato e continuare a migliorare perché (aggiungo questa parentesi forse in modo un po’ ingenuo) secondo me siamo sulla buona strada