Di Nicoletta Carli. Si aggiunge un altro girone all’inferno che sta vivendo il popolo ucraino. In particolare, sono le donne ucraine rifugiate in Polonia ad esservi sprofondate. Si tratta di donne, ancor prima che profughe. Donne violate carnalmente dalla brutalità di altri esseri umani, senza avere colpe. Poi private della possibilità di interrompere una gravidanza, simbolo di un abuso, dallo stesso Paese che ha preso impego di tutela nei loro confronti.

Basta veramente poco per tornare a mettere in discussione l’effettività i diritti delle donne. Questa guerra che vede maggiormente interessata l’Ucraina ne è la prova. Improvvisamente il mondo viene catapultato indietro di almeno cent’anni. Non solo per la realtà della guerra in territori limitrofi, che torna coatta a limitare le nostre libertà. Altrettanto perché si vengono a svelare delle realtà aberranti, che fin adesso esistevano inosservate. Lo scenario che si sta presentando ora agli occhi di tutti è paradossale, a smascherarlo è Oleksandra Matviichuk, avvocato per i diritti umani e presidente dell’associazione Center for Civil Liberties. Le donne ucraine stuprate dai soldati russi non possono abortire in Polonia. Ragazze, madri e mogli che inaspettatamente si sono trovate a vivere gli orrori della guerra. Hanno perso le loro case, il lavoro, figli o compagni. Ma ai soldati russi tutto questo non è bastato. Hanno voluto privarle anche della loro dignità, violando e abusando del loro corpo. Donne che con estrema forza d’animo hanno deciso comunque di non arrendersi. Sono fuggite da quell’orrore, inciampando in un altro. Imbattendosi in un vortice infernale nel quale vivono non solo le profughe ucraine, ma anche tutte le donne polacche. Nei primi mesi del 2021, a seguito di una sentenza della Corte Suprema, in Polonia entra in vigore la legge ‘’anti-aborto’’, che vieta l’interruzione volontaria di gravidanza. Circostanze comprovate di stupro, incesto e gravi malformazioni possibilmente letali per madre o feto, sono gli unici casi esonerati dalla normativa. La legge polacca, a livello teorico, non impedisce dunque l’interruzione di gravidanza alle vittime di abusi sessuali, il problema si riscontra nella messa in atto della normativa. A livello applicativo vi è una totale assenza di un iter penale, questa mancanza non permette alle vittime di abortire in Polonia, siano esse polacche o ucraine.  Inoltre, “Le donne vanno incontro a ogni sorta di ostacolo quando devono ottenere un rapporto d’indagine che certifichi il sospetto che la gravidanza sia la conseguenza di un atto criminale”, denuncia l’Amnesty International. Ci troviamo di fronte ad una nazione che, attraverso le normative vigenti, ha deciso di far prevalere un’ideologia, piuttosto che aiutare delle donne rifugiate e vittime di abusi di guerra. Uno stato che, con la sua burocrazia, viola i diritti sessuali e riproduttivi delle donne, piuttosto che tutelarle.