Di Gabriele Dominici. Doveva essere una celebrazione del corpo degli Alpini, all’insegna dei principi di solidarietà, di fratellanza e di pace, il raduno che, ogni anno, in una diversa città d’Italia, si svolge nella seconda settimana di maggio, invece, a Rimini, si è trasformato in un grave fatto di cronaca.
Alcune immagini e numerosi racconti hanno testimoniato una serie di episodi di molestie ai danni di alcune delle numerose donne che avevano deciso di condividere la goliardia dell’evento.
Alle prime timide testimonianze, nell’incredulità generale, sono seguite, grazie soprattutto all’incoraggiamento del gruppo transfemminista “Non una di meno”, centinaia di segnalazioni di molestie che, ad oggi, sembrano essere più di 500, alcune delle quali trasformate in denunce.
E, mentre continuavano ad aumentare le segnalazioni, faceva eco la volontà espressa dell’Associazione Nazionale degli Alpini di relegare gli episodi in atti di eccessiva goliardia definendoli episodi di maleducazione fisiologica e indicando come responsabili persone con il cappello taroccato, che non sarebbero appartenute al corpo degli Alpini.
E la politica non è stata meno deludente, al silenzio di una parte hanno risposto le parole troppo tenere dell’altra per un fatto tanto grave che avrebbe meritato da subito una posizione condivisa di condanna.
La risonanza che la notizia ha avuto grazie al web ha fatto emergere, però, una verità ancora più inquietante: sono ormai anni che durante i raduni degli Alpini vengono registrati episodi di molestie fisiche e verbali quali catcalling, palpeggiamenti, insulti sessisti, inseguimenti, proposte oscene, richieste di sesso a pagamento, accerchiamenti e persino vere e proprie violenze, quasi tutte consumate nell’indifferenza di chi assiste.
Qui non si tratta di voler infangare un intero corpo degli Alpini, né di valutare quanto gravi o pesanti siano state le frasi pronunciate o quanto e come quelle mani abbiano raggiunto il corpo di quelle donne.
Il fatto grave è che a Rimini durante quel raduno le donne non potevano camminare senza essere molestate, fischiate o toccate e non importa se gli autori fossero alpini o simpatizzanti, ubriachi o meno. Ancor più grave è che una parte dell’opinione pubblica, formata inspiegabilmente anche da donne, riesca a trovare delle giustificazioni, minimizzando certi comportamenti e catalogandoli come normalità, un atteggiamento, radicato nel maschilismo più becero, che può diventare assai pericoloso.
Chi può decidere quale sia il confine tra complimento o violenza verbale? Solo chi lo subisce riesce a coglierne l’enorme differenza.