Di Sofia Di Stefano La frenesia del momento,in corpo fiumi di alcol,la mente annebbiata,e il desiderio di sentirsi superiori.
L’italia è attraversata da un’onda di violenza: da nord a sud nessuna città scampa alla brutale fiura delle baby gang. Un gruppo di ragazzi,di età compresa tra i 15-17 anni,senza un’organizzazione strutturata né una distinzione di compiti.
Le vittime di aggressioni,lesioni,atti di bullismo,sono coetanei e non,ma si parla anche di atti di vandalismo e disturbo della quiete pubblica,fino a reati più gravi,traffico di stupefacenti e rapine.
Le misure volte ad arginare il fenomeno,sono pressoché inesistenti. La Lega propone ; lavori socialmente utili,pene per chi diffonde video di violenze e di togliere il reddito di cittadinanza alle famiglie dei componenti delle baby gang,accentuando un disagio sociale già presente.
In Valle d’Aosta si pensa di applicare il decreto Antimafia ai giovanissimi membri di queste gang,vietando l’uso dei telefoni.
Si discute se il termine Baby Gang possa davvero rappresentare questa realtà. Da una parte utilizzato dai mass media per enfatizzare il fenomeno,dall’altra giudicato dall’Autorità garante dell’infanzia e l’adolescenza come un termine troppo dannoso e stigmatizzante,non bisognerebbe parlare di giovani irrecuperabili, ma di minorenni da tutelare.
Un fenomeno spesso giustificato dal mancato paradigma scuola-famiglia,o dalla pandemia appena trascorsa.
Vittime del sistema che si sono trasformate in carnefici. Un fenomeno che va sradicato delle sue radici, affinché non ricresca più.