Di Alessandra Di Stefano.
Quattro attori in scena: Ludovica Di Donato, Valeria Monetti, Andrea Perrozzi e Alessandro
Salvatori. Quattro personaggi con caratteri semplici ma delineati. Quattro amici di vent’anni
che condividono segreti e intrecci amorosi. Ludovica è innamorata di Andrea; Andrea ci
prova da sempre con Valeria; Valeria ha una cotta per Alessandro; Alessandro non ci
capisce più nulla se davanti ha Ludovica. Dopo la prima scena di presentazione dei
personaggi e del loro rapporto, lo spettacolo prosegue facendo un balzo in avanti nel tempo,
mostrandoci gli stessi ragazzi, venti anni dopo, a quarant’anni. Il gruppo di amici si è perso e
si è trasformato in qualcos’altro: si sono formate due coppie, non dico composte da chi per
non rovinare la sorpresa. I quattro amici, però, hanno smesso di frequentarsi tra loro,
cadendo nell’errore in cui molti incappano in situazioni analoghe. Riconoscendosi
unicamente nel loro rapporto “coppia” hanno escluso fuori dalla loro quotidianità tutti gli altri
legami. Probabilmente nel caso specifico, l’allontanamento è stato dovuto anche
dall’attrazione che alcuni elementi provavano per la persona che non era quella che
avevano scelto di avere al fianco, e per tutelarsi da qualcosa che non si sarebbe controllata,
si è preferito tagliare la corda. E’ uno schema che torna molto spesso nella vita: se si hanno
dei dubbi, ci si immerge in quello che si ha, per avere conferme, e a volte per
autoconvincersi, nel senso negativo del termine, che non si desideri nient’altro. Questa
bugia che ci si dice, porta ad una tranquillità solo fino a quando non ci si ritrova di fronte alla
tentazione. Lì tutto crolla. E i quattro personaggi, quella sera di luna piena, sono crollati.
La forza di questo spettacolo è nella sua semplicità. Lo stile scelto dal regista Michele La
Ginestra è quello naturalistico, inevitabile in un atto unico ambientato in una camera da
pranzo di una casa. È essenziale che esca la quotidianità e la purezza delle conversazioni.
E gli attori selezionati si sono rivelati perfetti. Ognuno di loro ha dato una caratterizzazione
del personaggio specifica ma genuina, tanto da far domandare al pubblico se quello visto in
scena fosse improvvisato o meno. Questa è una vittoria sia per l’autore che per gli attori
stessi, i quali hanno trovato l’equilibrio tra veridicità e tecnica.
Lo stile e le scelte artistiche, sono le stesse che prese Paolo Genovese per la realizzazione
dell’ormai acclamatissimo film Perfetti Sconosciuti (2016). E’ inevitabile, guardando Quattro,
creare delle connessioni tra le due opere. Molti sono i punti di contatto e benché la trama sia
diversa, le storie narrate si mostrano simili. Sono state rappresentate le verità e le difficoltà
di uomini adulti, messi di fronte alla parte più intima di sé stessi, e a volte quella parte, sono
proprio gli amici di una vita. L’obiettivo per entrambi era quello di narrare una storia vera che
risuonasse negli spettatori e che generasse ragionamenti e dubbi sulle proprie scelte. Se
Genovese ha optato per un linguaggio d’impatto e a tratti “arrogante” tanto da evocare delle
sensazioni di ansia, frustrazione e disgusto durante (e non solo) la visione del film, lo stile di
Quattro, resta più leggero e fruibile, come è giusto che sia per una tranquilla serata a teatro.

  • Autore dell'articolo:
  • Categoria dell'articolo:Spettacolo