Di Arianna Tonini.

La mostra “I fantasmi del Giappone” tenutasi a Milano riporta finalmente gli spettatori a vivere un’esperienza fuori dal comune, come non si vedeva da molto tempo. Sono poche le mostre che riescono a suscitare qualcosa e la TENOHA Exibition  è riuscita a cogliere la necessità di sentire qualcosa e non solo di vedere o ascoltare.

Fin da subito è chiaro ciò che la mostra vuole farci provare: dobbiamo emozionarci, spaventarci, provare inquietudine e sentirci smarriti, per sapere come si sentivano  le anime dopo la morte attraversando il ponte rosso per trovare la pace. Il loro è un corteo funebre, che vaga nel silenzio proprio come fa lo spettatore. Nel buio ci ritroviamo ad osservare gli esserini che devono accompagnarci che sono disegnati ovunque e che brillano nella penombra, ricordandoci che ci sono sentieri che è meglio non prendere.

E ci ricordiamo che la parola che descrive la mostra è proprio “Kawaidan” cioè “storia e studio delle cose strane”, cose che di sicuro non mancano di essere rappresentate grazie alle illustrazioni di Benjamin Lacombe. Nei quadri tuttavia ci sentiamo distaccati dal folklore, perché i colori freddi e le forme tondeggianti sembrano dirci che quelle storie non ci appartengono e che, quando li guardiamo prima di entrare in ogni stanza,  stiamo osservando qualcosa raccontato di generazione in generazione, che ci pare fin troppo antico, tipica sensazione che il mondo Nipponico trasmette. Tuttavia, superate le tende nere, capiamo che quelle anime e quei racconti provengono dall’elaborazione dei mali che accadono a tutti gli uomini, durante le loro vite.

E allora, il sangue a terra degli allestimenti ci sembra vero e con un po’ di timore ci passiamo accanto, mentre ci colgono di sorpresa i miagolii acuti dei demoni-gatto che compaiono ora a destra e poi a sinistra, costringendoci quasi a scappare. E finiamo per condividere quell’atteggiamento inquieto delle anime confuse.

Per la prima volta in una mostra sensoriale, non siamo portati a provare solo qualcosa ma anche ad empatizzare con l’artefice di tale sensazione: quell’anima che ha preso una forma strana, confusa e misteriosa potrebbe essere qualcosa di molto più vicino di quel quel che crediamo.

Qui, la mostra supera ogni aspettativa perché ci insinua il dubbio che quelle storie forse non sono solo inventate, ma anche raccontate: iniziamo a vedere con i nostri occhi quanto sia incantevole il fondale di uno stagno mentre la luce penetra sul pelo dell’acqua e di quanto sia spaventoso il rumore del mare in tempesta che inghiottiva i pescatori. Ma capiamo anche che ci sono anime strane che si sono reincarnate in esseri dal temperamento dispettoso, che potrebbero divorarti a meno che non doni loro bizzarri cibi come i cetrioli.

Percepiamo, sorridiamo, tocchiamo e ci emozioniamo, vivendo un’esperienza ultraterrena con tutti i nostri sensi umani.

E usciamo domandandoci se il desiderio che abbiamo espresso prima di attraversare il ponte rosso è veramente qualcosa che potrebbe essere la nostra ancora di salvezza per non perderci e tornare nel mondo umano assumendo sembianze di mostri e spiriti che non ci appartengono.

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