Di Silvia Cera. La legge 194, approvata nel 1978, conferisce alla donna il diritto d’aborto. In Italia però questo diritto non è sempre applicato. Secondo i dati pubblicati nel 2022, dal Ministero della Salute, nel 2020 il numero di ginecologi obiettori di coscienza era del 64,6%.
Una percentuale così alta rende più difficile alla donna riuscire a compiere il suo volere, fa allungare i tempi e spesso le impedisce abortire.
I dati riguardanti l’aborto sono ampiamente diffusi; invece, quelli che riguardano l’obiezione di coscienza sono ancora pochi. Ci si concentra sulle donne, ma si lasciano in disparte i medici, quasi come se non fossero una parte fondamentale del percorso.
In Italia sono presenti ospedali e consultori con il 100% di medici obiettori. Ed è qui che ci si chiede dove sono i diritti della donna. Se si ha il diritto di abortire, secondo la legge, perché non ci sono abbastanza strutture sanitarie che lo permettono? Perché l’etica di un dottore, che essendo tale deve pensare a compiere il suo dovere e alla salute del paziente, deve passare davanti al diritto della donna?
Troppo spesso è così. I diritti della donna vengono messi dopo. Il problema, è che ci si preoccupa sempre di farle cambiare idea. Ma, una volta impedito di procedere, chi pensa a lei? Qui viene da pensare che non si tratti di etica o di riguardi nei confronti del feto, ma di prevaricare sulla donna, di decidere per lei. Essere obiettori di coscienza è concesso dalla legge, e non siamo qui per decidere se questo sia giusto o sbagliato. Una cosa però potremmo farla, potremmo dare la possibilità alle donne di decidere il loro destino. Dovrebbe, come minimo, esserci un bilanciamento tra medici obiettori e non, invece, c’è una netta differenza.
Le vite di troppe donne vengono stravolte perché qualcun altro decide per loro, smettiamola di guardare solo dalla nostra prospettiva e cominciamo ad accettare che esistono altre storie di vita.