Di Francesco Stampatore. Mercoledì 3 maggio Belgrado è stata investita da una inenarrabile tragedia che ha sconvolto tutti i cittadini: tra notizie trapelate in modo confusionario sui social, dichiarazioni chiarificatrici dal blog del ministero degli interni, e approfondimenti dei vari organi di stampa, è emerso che un tredicenne di nome Kosta Kecmanovic ha ucciso una guardia giurata e otto suoi coetanei presso la scuola elementare “Vladislav Ribnikar”, con una pistola rubata dalla cassaforte del padre.
L’intera Serbia (e non solo) è ora in un tormentante cordoglio che non svanirà tanto presto; ciò, per quanto lapalissiano sia, lo si evince dal fatto che il governo abbia proclamato tre giorni di lutto nazionale (dal 5 al 7 maggio), e dalle dichiarazioni del ministro dell’Istruzione Branko Ruzic: “Quella di oggi è stata la tragedia più grave che ha colpito la Serbia e il nostro sistema d’istruzione nella storia recente”.
Il tempo d’indugiare in profonde commemorazioni per tale eccidio ed ecco che, il giorno dopo, otto persone sono state crivellate dai colpi di un’arma automatica tra le cittadine di Mladenovac e Šepšin (a sud di Belgrado); quest’ultimo evento, apparentemente, sembrerebbe essersi scatenato a seguito di una banale rissa nel cortile di scuola.
Mentre a sud-est della penisola balcanica, un po’ perché coinvolti personalmente nei tragici fatti, un po’ perché non abituati a tali vicende, si limitano ad allibire nell’incredulità di fronte alla tragedia, il nostro sguardo atarassico ed esterno alla vicenda tende a sottolineare, con amara ironia, una curiosa analogia tra ciò che è accaduto a Belgrado e dintorni, e ciò che accade con frequenza in un altro paese maggiormente avvezzo a simili sciagure: gli Stati Uniti d’America.
Senza andar a scandagliare quelle che sono le oggettive criticità di un american dream che ha perso ogni credibilità per definirsi tale, basterebbe uno studio sommario della cultura statunitense, alla stregua di una rapida navigata su Internet, per sapere che uno dei temi che ha sempre infiammato il dibattito politico tra repubblicani e democratici negli USA è proprio quello riguardante l’uso delle armi e la difesa personale.
L’equazione che vede a confronto i termini “scuola” e “sparatoria” fa riemergere alla memoria collettiva tanti accadimenti a dir poco disdicevoli, come ad esempio il massacro del 1999 avvenuto nella Columbine High School (sul quale tre anni dopo venne fatto un meraviglioso documentario diretto da Michael Moore), che corrisponde ad una delle più note estrinsecazioni della grande ossessione americana per le armi.
È chiaro che tali stragi non avvengano solo nelle scuole, però anche vero che se, negli ultimi 23 anni, sono avvenute ben 11 sparatorie in tale contesto, allora vien da chiedersi se l’ambiente scolastico in sé acquisti una certa rilevanza tra le cause scatenanti di un simile fenomeno.
A questo nostro dubbio diede un’interessante risposta Anna Maria Giannini, professoressa ordinaria di Psicologia Giuridica e Forense presso l’Università di Roma “Sapienza”, in un’intervista dove attribuisce agli eccidi nelle scuole una valenza dal punto di vista “pratico”, avendo l’assassino, in tale ambiente, più facilità nel colpire essendo quello “il luogo dove per antonomasia si raggruppano categorie di persone indifese, ed è un contesto completamente avulso dalla violenza armata”; ma non è tutto, perché in quella stessa intervista fornisce anche un significato più simbolico a tale efferatezza dichiarando: “La scuola è il luogo dell’educazione, dell’innocenza, della crescita. Mettendoci nei panni dell’assassino, stroncare tutto questo sul nascere, distruggere anziché proteggere, è un atto eclatante con una forte valenza dimostrativa”.
Tornando su Belgrado, il governo (vedesi le parole del ministro dell’Istruzione Branko Ružić) implicitamente addita la causa della strage all’influenza di Internet, dei videogiochi, e dei “valori occidentali”, ma probabilmente i reali motivi sono quelli già sopraccitati, perché, anche se la Serbia non era mai stata colpita prima d’ora da tale fenomeno, una ricerca ha dimostrato che è il paese al terzo posto al mondo, dopo Usa e Montenegro, per incidenza di armi su cento abitanti (più di 39 su 100 civili sono armati), e, come visto in precedenza, è un fattore che non può passare in secondo piano se vogliamo fare un’analisi critica del problema.
Detto ciò, può darsi che queste due sparatorie saranno eventi casuali ed avulsi da un qualsiasi possibile discorso di recidività del fenomeno grazie alle misure che il governo adotterà per inasprire i controlli sul possesso di armi ed aggravare le pene, l’unica cosa di cui possiamo essere certi è che queste due stragi avvenute nel giro di due giorni siano un segnale di allarme del quale gli converrà avvedersi se non desiderano che un facsimile del “modello Columbine” si abbatta su di loro.