Di Valeria Pacifico. Occhiali neri scuri, taglio di capelli alla pageboy bob, sandali Manolo e un completo Chanel portato come un uniforme: questi sono solo alcuni dei must-have della intramontabile e temuta Anna Wintour.

 

Figlia del nepotismo, il padre giornalista la spinge verso il fashion journalism portandola a collaborare con un numero incredibile di direttori e riviste: da Viva ad Harper Bazaar, da House & Garden alla direzione del British Vogue. Il suo sogno nel cassetto di lavorare per Vogue America si avvera nell’ottantotto quando prende il posto di Grace Mirabella – che ancora, dopo trentacinque anni, tiene ben saldo. Da questo momento in poi, l’onda rivoluzionaria che travolge il mondo della moda porta il suo nome.

 

Criticata per aver completamente distrutto i canoni della pubblicazione e per aver rivoluzionato il gusto estetico – celebre la sua prima copertina per Vogue nella quale la modella Michaela Bercu non guarda in camera, non è immobile come una statua, è scompigliata, con poco trucco, sorridente e al posto della costosissima gonna Lacroix, porta dei jeans – la Wintour sconvolge la realtà classica e borghese della rivista indirizzandola verso i giovani e lo street style.

 

È una delle donne più influenti nel panorama mondiale, nonostante molti non sappiano chi sia, quasi ogni capo che noi indossiamo, ogni tendenza che seguiamo è stata – prima di entrare nei grandi negozi nei quali acquistiamo – selezionata da lei. In fin dei conti, è impossibile che sia solo grazie alle conoscenze che è arrivata fino al trono di Vogue.

 

Celebre è il personaggio di Miranda Pristley interpretato da Maryl Streep ne “Il diavolo veste Prada” il quale è ispirato proprio alla Wintour: capo severo, non si sa se temuto o rispettato (o forse entrambi), odioso ma invidiato, una donna che sa chi è e conosce la portata di una sua sola decisione. Credo che la portata del lavoro di Anna, sia ascrivibile (in parte) a questo monologo del film:

 

“Tu pensi che questo non abbia niente a che vedere con te. Tu apri il tuo armadio e scegli, non lo so, quel maglioncino azzurro infeltrito per esempio, perché vuoi gridare al mondo che ti prendi troppo sul serio per curarti di cosa ti metti addosso, ma quello che non sai è che quel maglioncino […] è effettivamente ceruleo, e sei anche allegramente inconsapevole del fatto che nel 2002 Oscar de la Renta ha realizzato una collezione di gonne cerulee […] E poi il ceruleo è rapidamente comparso nelle collezioni di otto diversi stilisti. Dopodiché è arrivato a poco a poco nei grandi magazzini e alla fine si è infiltrato in qualche tragico angolo casual, dove tu evidentemente l’hai pescato nel cesto delle occasioni. Tuttavia, quell’azzurro rappresenta milioni di dollari e innumerevoli posti di lavoro, […] quindi in effetti indossi un golfino che è stato selezionato per te dalle persone qui presenti… in mezzo a una pila di roba.”

 

La Wintour, anche se molto spesso al centro delle controversie – come per l’esaltazione del corpo magrissimo – è un simbolo, una donna forte che ha saputo imprimere e far valere il suo modo di vedere il mondo, direttrice creativa di una delle più grandi multinazionali della moda e, soprattutto, fedele a ciò in cui crede e al suo istinto.

 

Sfogliare le pagine di quella rivista mensilmente, vedere che la moda non è solo percepita come una frivolezza per ricchi ma che abbia anche un valore artistico, è in parte il motivo per il quale molti ne sono ossessionati; in più, il fatto che una singola persona muova la maggior parte delle fila in questo campo è incredibilmente affascinante e, a parer mio, di una potenza indiscussa.

 

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