Di Giulia Frigeri. Un pugno nello stomaco, una scossa alla coscienza collettiva. “Mia”, film di Ivano De Matteo, è più di un racconto, è un atto di accusa contro la violenza che si nasconde nei rapporti tossici. Un padre che assiste impotente alla devastazione della figlia e che, di fronte a un dolore impossibile da placare, sceglie la strada della rabbia e della ribellione. Questa non è solo una storia, è la realtà di troppe famiglie schiacciate dal peso e dell’abuso e della non comunicazione.
La vicenda di Mia, interpretata da Greta Gasbarri, è quella di un’adolescente sedotta e poi intrappolata in una relazione da Marco, un ragazzo violento e manipolatore, interpretato da Riccardo Mandolini. Dietro questo “amore giovane” si cela un incubo, controllo, isolamento, violenza psicologica e fisica. Quando Mia cerca di sfuggire, Marco reagisce con un atto di vendetta feroce, diffondendo foto intime della ragazza. In questo punto il film scava nel tema del cyberbullismo e del revenge porn, mostrando non solo il dolore della vittima, ma anche l’impotenza e il senso di colpa di chi le sta accanto. Sergio, il padre di Mia, interpretato impeccabilmente da Edoardo Leo, non è solo un personaggio, è la rappresentazione di ogni genitore che si chiede come proteggere i propri figli in un mondo sempre più spietato. La sua disperazione lo porta ad un gesto estremo, affronta direttamente Marco in un atto di vendetta che simboleggia la rabbia e il dolore di un padre che si sente tradito dalla giustizia e dalla società.
“Mia” non è solo una denuncia, è un invito a riflettere sui legami familiari, sul ruolo dei social media nella vita dei giovani e sull’urgenza di un dialogo che spesso manca tra genitori e figli. Il film immerge lo spettatore in una spirale di emozioni forti e contraddittorie.
È un film che chiede ad ognuno di noi di guardare in faccia la realtà senza voltarsi. È un appello a riconoscere le crepe nei rapporti umani e a combattere, non solo per prevenire la violenza, ma per sostenere chi ne è vittima. Perché, alla fine, non basta sopravvivere, serve guarire.