Di Isabella Teti. L’idea di parto che ci viene inculcata è sempre e solo una: urla che fanno pensare a torture medievali interrotte dal celestiale momento della nascita. Di punto in bianco la donna dimentica ogni pensiero negativo e tutto diventa perfetto, perché ora è mamma. Può non essere sempre così.
Una donna è “anche” e non “solo” mamma, non si annulla come persona. Eppure in troppi casi è quello che tuttora succede fin dall’inizio del travaglio. Parliamo, anche se non abbastanza, di violenza ostetrica. Una realtà deve essere chiara: l’Italia, del sistema sanitario, ne può fare un vanto. Per quanto riguarda il reparto di ginecologia e ostetricia in molte strutture, che siano pubbliche o private, sono varie le tecnologie moderne al servizio della donna incinta e della partoriente: lettini ergonomici, parto in acqua, luce biodinamica… Vige, dunque, una generale situazione di sicurezza rafforzata dal sostegno del partner presente durante il corso del parto. Tuttavia non sempre il complesso del personale rispecchia la struttura.
Si tratta di interventismo non necessario e coercitivo, non curante di alcun tipo di preavviso o consenso (figuriamoci consenso informato). Troppo spesso la partoriente, non appena varca la soglia della sala parto, si vede privata della naturalezza e dell’intimità del momento.
Succede a volte che la privacy viene calpestata, la violenza verbale è di routine. A quanto pare se non si abbraccia con il sorriso ogni avversità non si è una vera mamma. E proprio perché alla futura mamma non sembra spettare altro non la si interpella sulle pratiche a cui verrà sottoposta. Secondo uno studio su scala mondiale condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2019 circa il 42% delle donne ha subito violenza ostetrica.
Le pratiche abusate più eclatanti e – come la stessa OMS insiste a ribadire – altamente rischiose, sono due: la manovra di Kristeller e l’episiotomia. Dietro questi nomi tecnici si celano procedure tutt’altro che banali ma che così si vuole che appaiano.
La manovra di Kristeller, presentata come “l’aiutino”, consiste in una spinta esercitata con l’avambraccio sull’utero in direzione del canale del parto. Risale al 1800. Oggi, grazie alla maggiore conoscenza scientifica, è fortemente sconsigliata dall’OMS e vietata in molti paesi per l’entità delle possibili ripercussioni negative sulla madre (come lacerazioni vagino-perineali) e sul feto (come danni celebrali). Non a caso il ricorso a tale manovra è omesso su molte cartelle cliniche.
Un vero aiuto per l’espulsione sarebbe assecondare la partoriente e lasciarla assumere le posizioni che le danno più sollievo. Nonostante in natura nessun animale partorisca supinamente ci si ostina a invitare ad assumere tale posizione, eppure sappiamo che il parto è facilitato se in piedi o accovacciate perché il canale si apre almeno il 30% in più. I fatti sono chiari eppure pare che vogliamo continuare ad assecondare la curiosità di Luigi XIV il quale, per primo, impose alla consorte questa posizione solo per poter vedere meglio il momento della nascita.
E poi l’episiotomia, presentata come “il taglietto”. È una vera e propria operazione chirurgica che consiste nell’incisione del perineo e della parete posteriore della vagina per allargare l’orifizio vaginale. Risale al 1700. Oggi l’OMS la definisce dannosa tranne in rari casi, eppure viene praticata come fosse di routine. In Italia, secondo l’indagine condotta nel 2018 dall’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica, dal 2003 al 2017 almeno 1 milione delle donne che hanno partorito ammette di aver subito una qualche forma di violenza ostetrica e tra queste, a più della metà, è stata effettuata l’episiotomia senza nemmeno accennarvi (nessun atto medico può essere praticato prescindendo dalla firma del consenso informato!). Ne consegue una riduzione di tonicità del pavimento pelvico tale da poter portare a incontinenza e prolasso uterino. Il dolore permane nel lungo termine, anche compromettendo l’attività sessuale, e il rischio di infezioni è alto. La lacerazione spontanea del perineo porterebbe meno problemi e migliore cicatrizzazione. Nemmeno il feto è esente da complicazioni, in particolare rischia la distocia delle spalle.
La lista è lunga: si induce e accelera il processo con ossitocina sintetica tramite flebo, si impone o si nega l’anestesia, si omettono i rischi del cesareo. Tra l’altro nel 2014 l’OMS ha rilevato che le più esposte sono le adolescenti, le donne non sposate, economicamente svantaggiate o appartenenti a minoranze etniche. Il triste sfondo che appare è quello di una “punizione” particolarmente rivolta verso queste categorie, e non è nemmeno l’unica forma punitiva esercitata in tale senso perché è la stessa logica che accompagna i cimiteri dei feti abortiti (un vero inno ai diritti umani e di privacy).
La società pare aver normalizzato l’alterazione di una cosa naturale come il parto, ma anche come l’intera gravidanza. Il numero di ecografie effettuate in Italia supera di gran lunga le due o tre consigliate dalle linee guida nazionali e internazionali. È inammissibile che una gravidanza senza complicazioni venga sottoposta a mille controlli superflui, utili solo a incrementare le insicurezze della futura mamma e il portafoglio dei medici.
La recente censura agli Oscar di uno spot sul post partum senza falsi idilli manda un messaggio chiaro: sono troppe le realtà nascoste inerenti al parto.
Per la donna è indispensabile avere una ginecologa o un ginecologo professionale che sappia ascoltare e consigliare nell’interesse della donna. Non è necessario prendere una laurea in medicina per partorire: è fondamentale il rispetto verso la donna e la sicurezza del parto.
L’ignoranza, finché non si presentano le conseguenze, è beata. Ma la paura, purtroppo, è sensata.