Di Fabio Fedeli. La premessa fatta all’inizio era chiara, al termine di questo laboratorio saremmo diventati dei giornalisti di vita. Bene, oggi io mi sento per davvero un giornalista di vita. Forse lo ero già in passato ma ora ho la consapevolezza di esserlo.
Ricordo la prima lezione, fu un susseguirsi di colpi di scena ed emozioni. Arrivai convinto di iniziare un corso di giornalismo puramente sportivo e me ne andai rendendomi conto che, in realtà, mi trovavo di fronte ad un giornalismo che tratta la vita a trecentosessanta gradi in tutta la sua pienezza capendo immediatamente che questo non sarebbe stato un corso come tutti gli altri. Sin da subito il professore ha catapultato noi “novellini” in questo ingranaggio ben oliato per farci integrare ai nostri colleghi insegnandoci ad aprire la mente ed andare oltre, a non avere peli sulla lingua, guardare le cose da più punti di vista e, soprattutto, che dobbiamo cogliere gli scenari che la vita ci offre. In poche parole un corso “rivoluzionario” per come siamo abituati, forse fin troppo tanto da pensare di abbandonare dopo la prima lezione. Nonostante questa mia titubanza, dentro di me sentivo che si era accesa una fiammella e, mosso dal mio istinto, decisi di dare fiducia in questo professore sopra le righe con un carattere simile al mio…anche ciò ha influenzato la mia scelta. Col senno di poi, ho capito di aver fatto la scelta migliore.
La forza di questo laboratorio credo che sia data proprio dal gruppo che si è venuto a formare in cui il professore è il regista e lo scenografo che allestisce il set al fine di far performare noi attori nel migliore dei modi. La prova di ciò sono stati i dibattiti, sempre ricchi di interventi e mai banali, che abbiamo affrontato a lezione nei quali ognuno di noi ha avuto l’opportunità di dire la propria opinione, di aprirsi, di mettersi a nudo e raccontare le proprie esperienze di vita senza il timore di essere giudicati. Abbiamo affrontato tematiche come la tratta delle schiave dall’est, la depressione, la solitudine, il perdono e la rinascita e non nascondo che in alcuni di essi mi sono addirittura commosso: molti argomenti li sentivo miei e rivivevo il mio passato mentre in altri sono riuscito a sentirmi parte delle storie, mettermi dalla parte di chi raccontava e a capire cosa si provasse esclusivamente grazie alla bravura di chi scriveva. Probabilmente ciò è successo perché noi ragazzi siamo abituati ad uscire coi nostri amici e parlare dei nostri interessi, di sport e dei problemi di amore e non parliamo mai di questi temi più seri perché ci si sente vulnerabili, non vogliamo apparire deboli o magari perché non si ha proprio l’opportunità…d’altronde non è così facile parlare di tali argomenti a questa età tra di noi.
Se volessi riassumere la mia esperienza in questo laboratorio, mi basterebbe citare una frase di “Buon viaggio” di Cesare Cremonini: << Per quanta strada ancora c’è da fare, amerai il finale >>. Esatto, amare il finale perché sono entrato in questo laboratorio con mille dubbi per poi, lezione dopo lezione, appassionarmi sempre di più…e pensare che mi sarei messo a ridere se alla scuola media, mentre scrivevo i pezzi sulle gare di atletica per il giornale scolastico, mi avessero detto che in futuro mi sarei appassionato al giornalismo.
Cosa mi ha lasciato questo laboratorio? La consapevolezza di aver aggiunto un altro “tassello” alla mia crescita personale, di sentirmi più maturo e di essere un giornalista in questa vita che ci offre di continuo spunti, opportunità e scenari da affrontare. Un’esperienza che consiglio a chiunque abbia il coraggio di mettersi in gioco e che porterò a lungo dentro di me grazie alle emozioni che mi ha regalato e alle cose che mi ha insegnato.