Di Giulia Mezzanotte. Non credevo che ci sarebbe mai stato un momento i cui avrei parlato di un lato di me stessa che si trovava in una parte così profonda della mia persona; tanto meno in un’aula universitaria; tanto meno davanti a una trentina di persone, viste per la prima volta un paio di mesi fa.Ammettere per la prima volta, mettendolo per iscritto, che ho paura di crescere, ha prodotto emozioni miste e contrastanti dentro di me, in base ai momenti in cui realizzavo e metabolizzavo di averlo fatto. L’istante in cui mi è stato proposto dal professore di sviluppare un dibattito, ho pensato subito di volerlo fare su questo tema, dal momento che mi premeva scrivere di qualcosa di veramente personale, attraverso il quale avrei potuto esprimere con estrema naturalezza tutto ciò che mi passava per la testa. Quando ho iniziato a buttare giù il testo, un mare di parole ha iniziato ad essere trasmesso alle dita e sulla tastiera come se non le controllassi; era come se quelle frasi, espressioni dei miei pensieri, aspettassero intrepide, da tempo, solo di uscire dalla mia testa, per palesarsi, ed avessero finalmente trovato l’occasione per “scoppiare” fuori. Poi, mentre si avvicinava il giorno della lezione, ho iniziato a metabolizzare il fatto che, per quanto fosse stato confortante riuscire a mettere per iscritto tutti quelle riflessioni tanto contorte, ero in realtà terrorizzata all’idea di non poter tenermele per me. L’idea di ammettere ad alta voce di non sentirmi all’altezza di poter intraprendere una vita da adulta, ma soprattutto di essere insoddisfatta di ciò che ho vissuto fino ad oggi, aveva provocato in me imbarazzo, che avevo chiamato vergogna (essendo sempre stata una persona un po’ melodrammatica). Questo perché, come da mio solito, avevo tanta paura di ciò che potessero pensare le persone che mi avrebbero ascoltata. Si trattava di persone praticamente della mia età, nella mia testa sicuramente con una vita più appagata e realizzata della mia che, dopo la mia lettura, avrebbero pensato a me come una persona pigra, priva di forza di volontà e anche un po’ codarda.Quelli in cui mi sono messa a nudo nel laboratorio sono stati cinque minuti in cui, a momenti, mi sembrava di trovarmi davanti ad una severa platea, con le orecchie e gli occhi puntati su di me, che giudicava ogni singola parola che usciva dalla bocca. Allo stesso tempo, però, mi sono ritrovata avvolta in degli istanti in cui avevo la sensazione di stare a parlare unicamente con me stessa, come se fossi sola nella stanza, o come in una di quelle scene da film, in cui c’è il buio pesto intorno e la luce puntata unicamente su un personaggio; tutto fermo intorno, il tempo andava avanti solo come me e il mio foglio.
Una volta detta la parola finale del testo, sono tornata alla realtà ed ho assistito a qualcosa per cui ero preparata, dal momento che succede ad ogni dibattito, ma che sul momento mi ha destabilizzata.<<Non c’è un motivo sincero per il quale mi stanno applaudendo.>> <<La gente mi sorride, ma perché?>> Questi erano i miei pensieri istantanei.
Ci è voluto poco per capire che i miei erano ragionamenti cinici, abbastanza infondati, che sarebbero stati smentiti tre secondi dopo dalle domande e riflessioni dei miei compagni. Compagni che, anche se non l’avrei potuta immaginare una cosa possibile, mi applaudivano e sorridevano perché erano sinceramente compiaciuti da ciò che avevano appena sentito; compagni che non accettavano che io potessi sentirmi in quel modo e che non vedevano l’ora di darmi i loro più spontanei e preziosi consigli per credere di più in me stessa e rialzarmi da questo buio vortice, che di fatto mi sono sempre creata da sola. Ciò che mi ha allo stesso tempo stupita e rassicurata di più è stato che la maggior parte di loro potessero effettivamente sentirsi o essersi sentiti allo stesso modo, che il mio non fosse un sentimento così anomalo come pensavo e che, perciò, non c’era alcun motivo di vergognarmene.Alla luce di ciò che ho provato durante e dopo il dibattito, posso dire che forse un po’ il mio stato d’animo è cambiato, ho ascoltato parole da persone che non avrebbero avuto alcun interesse o secondo fine a dire che io sono molto di più di ciò che credo di essere, e questo mi ha portato ad immagazzinarle e farle mie con più facilità…forse con un po’ più di felicità.