di Luna Luciano.
Indottrinamento in campi di rieducazione, controllo costante e farmaci che impediscono la riproduzione, sembrerebbero elementi per lo sfondo di un romanzo orwelliano, ma ad essere costretti a rinnegare la propria cultura, la propria fede, e a subire violenze e abusi sono gli Uiguri, e il Grande Fratello è la Cina. Tramite “campi di rieducazione” Pechino cerca di reprimere gli uiguri, una minoranza turcofona musulmana presente nella ricca regione autonoma dello Xinjiang, dove da alcuni anni si sta consumando una tragedia silenziosa.
Secondo le autorità cinesi queste strutture sono la soluzione migliore e necessaria per combattere il terrorismo, intensificando i controlli sulle comunità musulmane. “Accanto a un indottrinamento pervasivo, il governo impone una sorveglianza costante, che si inasprisce, grazie al ricorso a un impiego massiccio della tecnologia” spiega invece l’Osservatorio dei diritti umani.
Secondo l’Onu circa un milione e mezzo tra uiguri, kazachi, kirghisi e hui sono stati trasferiti in queste centri, teatro di un “Genocidio culturale”, come dichiarato da alcuni studiosi dello Xinjiang sul Financial Times. Gli ex-detenuti hanno raccontato che all’interno di questi centri vengono svolti corsi di indottrinamento ideologico: sono costretti a “imparare il mandarino, recitare a memoria le leggi sulle pratiche religiose vietate e cantare inni del partito”.
Oltre a essere privati di un’identità culturale e forzati ad assimilare quella predominante, la cultura Han, i detenuti subiscono ogni giorno violenze di ogni tipo.
Le urla, le suppliche, i pianti sono ancora nella mia testa. Portavano con regolarità le donne in ospedale e le operavano, in modo che non potessero più avere figli
Sono le dolorose parole di un’ex-detenuta Tursunay Ziyawudun, uigura di 41 anni, che qualche giorno fa dal Kazakistan ha denunciato su Radio Free Asia la situazione nei centri. Le donne sono costrette ad assumere farmaci che incidono sui loro cicli, subiscono torture e sono sottoposte ad abusi sessuali.
Mi hanno portata in ospedale per sottopormi ad un’operazione di sterilizzazione, ma poiché ho sempre sofferto di un problema ginecologico il medico ha detto che avrei potuto morire
Tursunay, infine crolla e confessa piangendo gli abusi subiti in prigione.
Abbiamo subito tutti i tipi di maltrattamenti, ma neanche di fronte ad un simile abuso siamo state in grado di fare nulla
Le lacrime di Tursunay sono le lacrime di un intero popolo umiliato in nome di una guerra al terrorismo, e che vede le proprie radici e la propria cultura spazzati via da un unico partito; il partito che tutt’ora nega che questo stia realmente accadendo.