Di Luna Luciano. Rivolte, repressioni e stragi di civili. Il 2019 è stato un anno complesso che ha portato con sé le grida di proteste e inni alla libertà di intere popolazioni perseguitate dai loro governi o dalla guerra. Anche quest’anno sulla scacchiera globale gli interessi economici e geopolitici hanno calpestato e soffocato i diritti umani. Il 2019 è l’anno dei muri, dell’erosione delle democrazie e dell’affermarsi su vasta scala di governi autoritari e sempre più repressivi.
America Latina. Il muro eretto tra gli Stati Uniti d’America e il Messico è uno dei simboli di quest’anno. In Messico la situazione è critica, cercano di scappare da uno dei paesi più pericolosi al mondo, dove omicidi e femminicidi sono in continua crescita. Il muro però continua ad esistere nel 2020 come continua ad aggravarsi la crisi del Venezuela, un paese che sta collassando su di sé. A gennaio l’autoproclamazione del presidente Guaidó sembrava essere l’inizio del cambiamento eppure dopo esattamente un anno il presidente Nicolas Maduro è ancora al suo posto a differenza dei milioni dei suoi concittadini in fuga. A loro resta un ponte, unica via di salvezza, verso i paesi vicini pronti ad accoglierli. Nel resto dell’ America Latina le proteste non sono mancate. La crisi venezuelana, l’elezione di un ex militare come Bolsonaro in Brasile o di Obrador in Messico rappresentano un ritorno al populismo e la formazione di democrazie minime, dove non vi è spazio per le libertà; conseguenze della corruzione politica e un sistema economico che rimane ancorato all’esportazione di materie prime, che le pone in condizioni di povertà.
Medio Oriente. Il 2019 è stato anche l’anno del Medio Oriente. In vista delle presidenziali in America, Trump ha deciso ad ottobre di ritirare dalla Siria le proprie truppe militari, poste in una zona cuscinetto e Nord Ovest dello stato, in difesa dei Curdi dagli attacchi turchi. Il giorno dopo è iniziato il conflitto siriano-turco nel Kurdistan.
Migliaia le vittime tra civili e attivisti e giornalisti. La guerra ha mostrato la debolezza di un’Europa incapace di poter intervenire, tenuta sotto scacco dalla minaccia di Erdoğan di aprire i cancelli e inviare gli immigrati. In Turchia qualsiasi minoranza etnica viene repressa, ma non è l’unico stato. Nonostante siano caduti Bouteflika in Algeria e al-Bashir in Sudan, i loro regimi rimangono in piedi e le speranze di una transizione verso la democrazia irrisolte.
“Come irrisolti restano i problemi di Libano, Egitto e Iraq − parte di quest’ultimo paese è destinato a rimanere un incubatore di jihadisti anche dopo l’uccisione di Abu Bakr al-Baghdadi – scrive la rivista Limes – il sedicente califfo del sedicente Stato Islamico”. Ancora l’Arabia Saudita e infine l’Iran dove le manifestazioni sono state represse nel sangue, testimoniando la debolezza del regime degli ayatollah, dove vi è il rischio di una nuova ondata di instabilità dopo l’uccisione di Soleimani, secondo uomo dell’Iran, da parte di un drone americano il 3 gennaio 2020.