Di Fabiola Capone Braga. Il tre gennaio scorso è morto a Baghdad il generale Soleimani, a seguito di un raid ordinato dal presidente americano Donald Trump.
Soleimani è stato capo delle forze speciali della Repubblica Islamica Iraniana impegnate in Siria ed Iraq contro il Califfato, del quale è stato principale avversario sul campo.
Ma proprio quando il popolo Iraniano piange il suo più grande generale, con funerali solenni, l’Isis festeggia e definisce l’uccisione del generale come un “atto d’intervento divino”.
Mentre Soleimani combatteva contro il più grande gruppo terroristico in Siria, questa veniva invasa a Nord dalla Turchia.
Tre mesi fa la Turchia ha deciso di lanciare l’operazione “Sorgente di Pace”, occupando trenta chilometri del territorio Siriano. Questa è servita a costruire una fascia di sicurezza tra Siria e Turchia per far sì che i profughi siriani residenti in Turchia potessero tornare nel loro paese natale. Il vero obbiettivo di Damasco in realtà è quella di eliminare le forze curde nel nord della Siria per sviare eventuali attacchi da parte dei gruppi terroristici. Queste operazioni anti-terroristiche sono state però organizzate dalla Russia, che militarmente appoggia la Turchia.
Negli ultimi giorni sono state attaccate due basi militari americane in Iraq in risposta all’uccisone di Soleimani.
Mentre Trump giustifica la morte del generale definendolo come il “maggiore terrorista mondiale”, porge anche la mano per un accordo di pace, dichiarando però che l’Iran non solo deve finire di finanziare il terrorismo, ma anche abbandonare le ambizioni nucleari. Per questo le verranno imposte nuove sanzioni. Secondo Trump è necessario raggiungere un accordo per far sì che l’Iran possa crescere e prosperare.
L’Iran ha dichiarato che il loro obbiettivo è quello di cacciare le forze degli Stai Uniti dai loro territori, come risposta all’uccisione del Generale.
La situazione in Medio Oriente non sembra dunque essere delle migliori.
Iran, Siria e Turchia: il triangolo della morte