Di Concetta De Giorgi L’incubo per chi ha bisogno di rivolgersi ai Pronti Soccorsi dei vari ospedali di Roma è quello delle lunghe e snervanti attese, in luoghi sempre colmi e poco puliti, dove si può incontrare il clochard di turno alla ricerca nei periodi invernali di un luogo caldo e naturalmente compreso dell’uso dei servizi igienici, dove passare la notte visto anche la poca sicurezza in strada.
Si entra così in un ambiente infernale:
1) quando si entra al Pronto Soccorso, ci si deve armare di tanta buona pazienza, si inizia da qui a sondare l’effettiva soglia di dolore del paziente: se davanti a file interminabile si preferisce un repentino dietro front e si rimanda la richiesta di aiuto anche al giorno dopo rivolgendosi al medico di famiglia, significa che questo era tollerabile; invece se non spaventa la lungaggine dell’attesa e si rimane in questo luogo, sicuramente esiste e persiste, fa male. Si aspetta, si attende, prima o poi l’infermiere di turno, molto seccato, irritato e stanco perchè intrappolato in un turno interminabile e disumano, possa ascoltare e prendere in carico il paziente, quella irosità del personale infermieristico fuoriesce ancora di più quando gli si chiede se si può accellerare la visita, la risposta di circostanza e secca “attenda”, come se non fosse chiaro:
2) dopo ore in uno stato di sofferenza e dolore nel fantomatico pronto soccorso, dove il paziente si trova seduto se fortunato su delle sedie semipulite e magari integre, deve tra l’altro cercare di lamentarsi il meno possibile per rispettare, il sonno del clochard che dopo essersi rifocillato, si è sdraiato su tre o quattro sedie per addomentarsi. Ecco, in questa situazione a dir poco grottesca, l’infermiere si palesa e finalmente il paziente dolorante può entrare nell’anticamera degli ambulatori medici, per essere sottoposto a quelle domande che fanno parte del modulo precompilato del cosiddetto triage o meglio “smistamento” che valuta la priorità sanitaria in base a una tabella di colori: rosso è la massima; giallo intermedia; verde bassa; bianco non urgente;
3) ora sembra che il traguardo sia vicino, pensa il paziente in quanto il personale infermieristico è informato, del motivo recondito per cui lui si è recato in questo luogo, essendo stata fatta un’anmesi, inoltre è stato identificato con un numero, così è informato delle persone in coda per essere visitate Quando apparrirà sul display il numero assegnatoli, allora essendo il suo turno potrà varcare anche lui quelle porte di quell’ambulatorio al cui interno si trova il dottore-salvatore e forse potrà sentirsi meglio, il dolore svanirà e l’attesa sarà solo un vago ricordo;
4) il numero anche lui con un pò di timidezza si manifesta ed ecco la scena che si apre agli occhi del paziente appena varcata la porta dei vari ambulatori: medici, in numero sempre più esiguo rispetto al reale bisogno in questi grandi ed affollati pronti soccorsi; il personale medico si trova a visitare in un campo di battaglia in quanto l’ambiente che dovrebbe risultare sterilizzato, non si è potuto pulirlo perchè è servito subito. Pertanto, quello che scorge il paziente per terra sono garze sporche e sul lettino vi è un lenzuolino altrettanto usurato, lui tentenna all’invito di sedersi o addirittura sdraiarsi, certo il dolore è tanto ma prendersi un virus fa altrettanto paura, ma lo spirito di metter fine alle fitte supera tutto. Inizia la visita, lui cerca di spiegare quello che accusa per giustificare il motivo che lo ha portato a richiedere l’aiuto del dottore, sembra che venga ascoltato, infine la diagnosi è solo stress, può tornare a casa viene dimesso. Il paziente convinto di tale diagnosi, demoralizzato in quanto la mente gli abbia potuto tirare un così brutto scherzo;
5) in realtà quel malore dopo giorni non passa, il paziente ritorna per l’ennesima volta a fare la fila, in un altro pronto soccorso nella speranza che questa volta possa finalmente gfuarire.
Pronto Soccorso: a Roma locali peggio del terzo mondo…..e liste di attesa vergognose