Di Eleonora Giusti
1978, Centocelle, nel popoloso quartiere di Roma sud-est prende vita una dei primi consultori in Italia e nelle città. Nasce come una struttura di movimento e di lotta “dove le donne di incontrano, si riuniscono, discutono e si confrontano per una maturazione comune sui problemi della maternità, della contraccezione, dell’aborto, del controllo del proprio corpo e della sessualità e per l’organizzazione della lotta contro tutte le forme della loro oppressione. Luoghi per permettere la partecipazione diretta e attiva delle donne, non pensati per essere dei surrogati di un ambulatorio.” Racconta Gabriella, una delle ginecologhe, artefice dell’apertura del consultorio a Centocelle, dove è stata la dottoressa Maria Pia Cantamessa, una donna laica e femminista che si è battuta per gli spazi delle donne e per l’aborto libero prima della legge 194. Un luogo di donne laico, che agiva nel quartiere dove si faceva un lavoro nelle scuole, si distribuivano depliants, si andava nei licei e negli istituti tecnici per parlare con studentesse e studenti di educazione all’affettività e di prevenzione per le malattie infettive. Dal ’78 al 2019 i consultori sono stati per le donne, e continuano ad esserlo dei luoghi in cui informarsi riguardo le prevenzioni, luoghi in cui sono offerti servizi ginecologici a prezzo ridotto rispetto a specialisti privati e negli ultimi anni sono stati introdotti anche servizi per quanto riguarda la maternità. A quarant’anni dalla nascita, però, i consultori contano molti meno giovani, rispetto al passato. Ad oggi è sono luoghi in cui le neomamme possono confrontarsi e solidarizzare tra loro, in una città come Roma in cui spesso vengono lasciate sole. Oggi un problema impellente è il blocco del turn over: ad esempio nel V municipio, al consultorio presso Via Tor Cervara 307, a settembre andrà in pensione la ginecologa e la pediatra le quali non verranno sostituite. Il problema riguarda anche altre strutture a Roma, e molto donne si stanno allarmando in quanto si è parlato di chiusura “temporanea” per lavori di ristrutturazione e messa in sicurezza, di cui non si conosce la tempistica. Spesso questi consultori che vengono riaperti dopo i lavori però sono impoveriti di alcuni servizi, vengono spostati dal pubblico al privato; non si parla di veri e propri lavori ma di un’opera subdola di svuotamento. Si dice infatti che non si chiudono i consultori, ma di fatto vengono svuotati dei servizi fondamentali. È come una chiusura silenziosa, che fa meno rumore, per il loro smantellamento e definanziamento e farli lentamente morire. Negli anni, tali servizi, oltre a risentire di una inadeguata distribuzione sul territorio, sono stati colpiti da un calo non solo quantitativo. Molte strutture, infatti, sono diventate scatole vuote a causa alla politica dei tagli nei bilanci delle Regioni che non pare abbiano interesse a valorizzare i consultori. Nel 2017 per la Regione Lazio ha parlato di «potenziamento dell’assistenza territoriale dei Consultori», prevedendo di stanziare oltre 13 milioni per nuovi macchinari e attrezzature all’avanguardia nei centri screening e nei consultori, ma attualmente stiamo assistendo ad una riduzione dei servizi all’interno degli stessi. Uno dei problemi principali di queste strutture? Alcuni assessori non hanno capito ancora quale la differenza tra un asilo e un consultorio!. Un’altro ostacolo che i consultori devono affrontare sono i movimenti pro-vita, che li accusano di non rispettare la legge 194, che prevede l’aborto solo in ospedale. Le accuse nascono principalmente dalla scelta di distribuire la pillola RU486 nei consultori. I timori sulla pillola abortiva che “banalizzerebbe” l’aborto ruota in realtà anche attorno al rapporto di potere tra sapere medico e donna, perchè si restituisce a lei la scelta riproduttiva. Insomma sembrerebbe proprio che in questi piccoli spiragli di totale libertà, per le donne si stia cercando di istituire una realtà di fondo maschilista.