di Lorenzo Giannetti.

Negli ultimi anni è in vertiginoso aumento il numero di persone che decidono di farsi un tatuaggio (anche fra i più adulti), quello che invece è in diminuzione, o che forse non è mai aumentata, è la consapevolezza che molto spesso non accompagna questa importante scelta. In prima istanza il tatuaggio è un’operazione che interessa permanentemente una parte del corpo e che quindi ha dei risvolti medici: in alcuni casi sono gli stessi studi a non rispettare alcune norme sanitarie, molto più spesso il cliente non è a conoscenza o non pensa che delle sue allergie possano ritrovarsi nella composizione degli inchiostri utilizzati. Nel primo caso ci si trova di fronte a un problema di moltissimi campi e, purtroppo, alle volte anche degli stessi ospedali. Il rischio più comune è l’utilizzo di aghi non sterilizzati (ancor più rischiosi perché spesso e volentieri durante il trattamento si perde qualche goccia di sangue) e di conseguenza AIDS o epatite C in primis . Nel secondo caso invece si può incorrere in una reazione allergica per esempio ad alcuni metalli presenti negli inchiostri, come il biossido di titanio utilizzato per il colore bianco.  Per non parlare poi del rischio forse maggiore che vede collegati la presenza di metalli nell’inchiostro e l’insorgenza del melanoma.

Queste le possibili complicanze mediche dovute alla poca consapevolezza dei rischi o alla pigra” scelta circa la professionalità dello studio di tatuaggi. Poi si apre un mondo legato alle implicazioni personali e sociali del disegnare con l’inchiostro sulla propria pelle. Innanzitutto si sentono spesso storie di persone che a distanza di anni si pentono di essersi fatte, magari in giovinezza e in leggerezza, un certo tatuaggio. Per questo bisognerebbe evitare un certo tipo di scelte come nomi di una compagna/o di giovinezza che a distanza di anni diventano difficili da coprire con altri disegni o davvero dolorosi da rimuovere completamente. L’implicazione più interessante del tatuaggio però è quella sociale. Nonostante, come abbiamo detto , il numero di tatuati sta crescendo, sopravvive ancora con molta forza lo stereotipo del tatuato che non risulta una persona affidabile o a cui dare posti di responsabilità, retaggio di una cultura vecchia che identificava i tatuati in detenuti e simili. Chi aspira a certi posti di lavoro deve, purtroppo, scegliere un posto sul proprio corpo che sia nascosto o che sia coperto da un’eventuale divisa. E’ paradossale come l’aspetto fisico incida decisivamente sulla scelta di chi fidarsi da parte delle persone. Su quale base oggettiva un uomo ben vestito e “ripulito” dovrebbe essere più affidabile di un uomo tatuato? Nessuna. Un tatuaggio non determina scarsa o alta professionalità, competenza o semplicemente gentilezza. Si tratta di una scelta personale che non nuoce a nessuno se non a chi la compie. Interessanti sono, appunto, le motivazioni che portano le persone a fare questa scelta: per semplice gusto estetico, per apparire in un certo modo agli occhi del proprio gruppo sociale, per ricordarsi una persona o un avvenimento speciali, per darsi forza o motivarsi. Nel nostro tempo il tatuaggio è diventato un mezzo di comunicazione e di espressione personale, talmente efficace che svolge la stessa funzione del taglio dei capelli o della scelta dei vestiti in ambito di affermazione della propria personalità. Essendo però una pratica sociale che non ha forti radici nella nostra tradizione culturale, incontra ancora una forte resistenza di una parte della popolazione che identifica il tatuaggio come un simbolo di sovversione e trasgressività. Io stesso, nonostante non sono cresciuto in una famiglia tradizionalista, ho avuto molte indecisioni prima di prendere la decisione di tatuarmi. Alla fine ha prevalso la voglia di portare per sempre con me un qualcosa che mi rappresenta e che parla di me alle persone che incontro.

In conclusione fare un disegno sulla pelle non cambia la persona che prende questa scelta, è semplicemente una maniera per esprimersi in maniera libera, come scrivere qualcosa, disegnare o fare un discorso.

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