Di Fabio Panfili.

Speravo non dovesse mai finire.  Ci si immerge così tanto in un sistema ormai avviato che, col passare del tempo, si finisce per viverci dentro. E non era male. Anche se non tutto è perduto, come si suol dire, perché ogni incontro a cui abbiamo partecipato, noi, la ciurma, insieme col nostro capitano, rimane a sé stante. A me non piace l’Università. Probabilmente non è questo il posto a cui appartengo. Sono da sempre un pellegrino alla ricerca della fonte della vita. E sto ancora esplorando. Fortunatamente, però, mi sono imbattuto in un’oasi atipica, sconosciuta, esplorabile da cima a fondo. Mi ci sono immerso a capofitto. Se non fosse stato per Marco, e per la persona che è, non starei nemmeno scrivendo queste righe. E’, sì, un laboratorio di giornalismo, ma soprattutto è, e rimane, qualcosa in più; tanto per rubare un’espressione riciclata migliaia di volte. La mia immagine di giornalista era abbastanza frammentata, passava dal concetto di un lavoratore, freelance o di un’agenzia, che eseguiva meramente gli “ordini” dall’alto, scrivendo pezzi il più possibile comprensibili agli altri ma al contempo sempre meno leggibili per il giornalista stesso: una persona ormai annoiata dal suo lavoro. Una persona che aveva dimenticato dei principi e dei doveri di un giornalista. Una semplice persona che eseguiva un lavoro come un altro. Principalmente avevo, ed ho, questa immagine di “giornalista” da quando, qualche anno fa, andando a spulciare nel web, scoprii che il tanto famoso Osservatorio siriano dei diritti umani, il quale commentava puntualmente le atrocità commesse dalle forze governative nei confronti della popolazione inerme, era invece redatto da una singola persona, comodamente seduta nel suo ufficio in Inghilterra, Coventry. E sembra anche che la persona in questione, Rami Abdulrahaman, non abbia dei veri e propri contatti sul campo: circa 4 anni fa il portavoce del ministero russo degli esteri lo accusava di mancanza di credibilità.

Ed è proprio la credibilità il punto focale della professione giornalistica.

Non lo scrivere articoli su di un determinato tema o fatto di cronaca estrapolando informazioni e personalizzandole a proprio piacimento. Ho imparato in questo corso che fare il giornalista è molto di più. E’ versare lacrime, fatica e sudore, sangue se necessario, su un pezzo di carta macchiato dalla tue parole; che possono mutare in lame affilate o flessuosi petali quando necessario. Il coraggio di scriver e pubblicare un qualsiasi articolo, giocandosi ogni volta la propria credibilità.

Scrivendo da qualche anno poesie e racconti, ritrovarsi a dover documentare fatti di esteri quanto di cronaca è una bella svolta. Non potrò mai ringraziare abbastanza Marco per tutta la sua disponibilità, il suo sincero affetto, la sua severità per un buco nell’acqua o magari per un articolo non scritto a dovere. E’ lo sprone di cui ognuno, son sicuro, dovrebbe avere. Spero solo che i miei silenzi non siano stati fraintesi.

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