Di Irene Bollici. Amore. È una delle parole parole più abusate in questi ultimi anni, in questi ultimi Femminicidi.
L’ha uccisa perché l’amava.. se ami non uccidi.
La seguo ovunque perché devo sapere con chi sta, con chi parla, con chi ride: non è amore è stalking.
Non deve vestirsi in questo modo perché sennò la guardano.. non deve mettersi quel rossetto perché sennò è troppo bella: questo non è amore, è possessione.
Ho il diritto di sputarle in faccia parole, perché sono arrabbiato, perché non ha fatto come le avevo detto. La rabbia è allo stremo, arriva il primo schiaffo, poi il primo spintone, il primo pugno.
Si arriva a soffocarla, non metaforicamente parlando, soffocarla davvero, con un cuscino come il trentasettenne denunciato dalla propria compagna, che grazie ad un vicino è riuscita a sopravvivere.
Ma quante donne hanno avuto questa fortuna? Poche, molto poche, forse una su dieci.
E allora, mi chiedo io, come è possibile che nonostante statistiche altissime, questo fenomeno venga preso così sottotono? Come è possibile che un padre di famiglia, un marito riesca ad uccidere la madre dei suoi figli, per banali discussioni come queste?
Forse perché nella storia l’uomo ha sempre ricoperto un ruolo di supremazia, quello stesso ruolo a cui migliaia di donne hanno ambito pagando molte volte con la loro stessa vita, e allora io mi chiedo perché non si riesce ad accettare che la  fidanzata, compagna, moglie, sia alla pari con gli uomini?
Ci sono mille mila domande ma una sola risposta sembra essere sempre la stessa: se si arriva ad uccidere la persona che si dice di amare, non si è degni di essere uomini, se si arriva a chiamare “Amore” quell’atto di carneficina questo non lo si può chiamare amore.