Di Cecilia Cerasaro. In questi giorni, fino al 17 Novembre, davanti alle porte del Teatro Argentina, un memento, un breve messaggio per la società contemporanea, per non cadere nell’oblio e forzarci a ricordare: si tratta della locandina dello spettacolo “Se questo è un uomo”, tratto dall’omonima opera di Primo Levi e diretto e interpretato da Valter Malosti.

La forza della rappresentazione sta innanzitutto nell’aderenza alla poeticissima e non per questo meno veritiera, cruda e realistica testimonianza in prima persona riportata dall’autore del romanzo, tanto che la messa in scena risulta un ibrido tra una resa teatrale vera e propria e una pura lettura del testo. Malosti veste i panni di Primo Levi e si pone davanti alla platea con l’intento di raccontare con semplicità e schiettezza l’esperienza del chimico italiano appartenente alla comunità ebraica deportato da Torino nel campo di concentramento di Aushwitz nel 1943. La memoria e le parole sono dunque le reali protagoniste e, spogliate di qualsiasi sovrastruttura retorica e perfino dalla finzione dell’azione scenica, consegnano allo spettatore il difficile compito, il peso della testimonianza di come un sistema, come quella del campo di sterminio, ideato da uomini possa strappare alle persone la loro umanità.

Sullo sfondo di una scenografia minimale e surrealista, intrisa di simbolismi, che allude a luoghi e ambienti ben precisi trasfigurati però con la modalità tipica dell’incubo e che ricorda il monumento alla memoria delle vittime dell’Olocausto a Berlino, si muovono altri due personaggi, un uomo e una donna, senza nome, senza volto, senza voce, vestiti di stracci, che non interagiscono né tra di loro né con il protagonista. Sono i sommersi, come direbbe Primo Levi, coloro che non si sono salvati, coloro che non hanno visto il riaffiorare dell’umanità nel giorno della liberazione, costretti a vagare nel campo di concentramento con molti loro simili ma essendo nel profondo soli e alienati, coloro che non possono raccontare.

Al contrario, Malosti fa di Primo Levi un uomo come tanti, che rispecchia, a partire dal modo di vestire e di parlare, lo spettatore. Si è portati a rivedersi in lui, condividendone il dolore, i moti dell’animo, della voce, sottolineati dai passaggi di luce repentini che suppliscono spesso alla mancanza di azione.
In un mondo come il nostro, nel quale siamo bombardati di notizie che non ci rimangono in testa per il tempo di un “mi piace” e di fake news che distorcono la realtà, sta all’arte e al teatro, restituirci la memoria e la verità.
La visione dello spettacolo è stata proposta nel contesto laboratorio di teatro Sguardo Vivo dell’Università di Tor Vergara.

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