Di Cecilia Cerasaro. Alla fine la coscienza italiana si è risvegliata. La manifestazione di solidarietà per la senatrice a vita Liliana Segre a cui hanno partecipato 600 sindaci, tenutasi a Milano il 10 dicembre, è il segno che qualcosa è cambiato. La donna era stata messa sotto tutela, insieme alla sua famiglia, a causa delle minacce e degli insulti personali, sessisti e antisemiti, ricevuti sui social.
Il dato che le autorità locali si stiano finalmente accorgendo dei danni che possono causare questo genere di attacchi lascia ben sperare nella realizzazione di iniziative a favore della lotta al bullismo e cyberbullismo sul territorio, dove possono essere più mirate ed efficaci.
Un’inversione di tendenza repentina considerando che erano anni ormai che la politica italiana cercava di nascondere, dietro il sacrosanto diritto di libertà espressione, un cancro che stava e sta disumanizzando la politica e la comunicazione italiane: la diffusione dell’odio e della paura nei confronti del diverso e la violenza verbale, sdoganata anche a seguito della nascita della comunicazione digitale e dell’anonimato sui social.
Alla fine ci voleva proprio la Segre, fra le cittadine italiane di cultura ebraica che subirono le persecuzioni e sopravvissero alla Shoah, donna che dunque ha conosciuto sulla propria pelle a cosa può portare la demonizzazione verbale del diverso e che da anni porta fra le persone la sua testimonianza, per far approdare in Parlamento la discussione sul tema.
Così è nata la Commissione Segre, con una mozione accolta in Senato. La decisione epocale non poteva generare altro, in un paese e in un mondo così abituati ad esprimere il dissenso senza entrare nel merito delle ragionevoli argomentazioni, a cui vengono preferiti gli attacchi personali, una valanga di insulti sui social ai danni della senatrice da parte proprio di quegli odiatori di cui la commissione si dovrebbe occupare.
Questa è la conferma della ragionevolezza dell’istituzione della Commissione Segre, con compiti di monitoraggio e proposta, ma sprovvista di potere legislativo e quindi incapace di scavalcare il Parlamento, come affermano invece i detrattori.
Recita il testo della mozione
la Commissione ha compiti di osservazione, studio e iniziativa per l’indirizzo e controllo sui fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di persone o gruppi sociali sulla base di alcune caratteristiche quali l’etnia, la religione, la provenienza, l’orientamento sessuale, l’identità di genere o di altre particolari condizioni fisiche o psichiche.
Sembra dunque essere in torto anche chi disapprova la Commissione perché non difende chi preso di mira per il suo credo cattolico, dato che il compito di questa è di proteggere chiunque sia insultato per la propria fede.
Ma non sfugge la malafede di chi pone queste critiche, dal momento che è noto a tutti l’uso e la strumentalizzazione della violenza verbale in campagna elettorale usata proprio da alcuni politici, soprattutto fra quelli dei partiti di destra che si sono astenuti sulla proposta.
In maniera curiosa qualcuno ha poi anche affermato di essere lui stesso bersagliato da minacce e insulti e di aver bisogno di una scorta, perché una volta alzati i toni è difficile riportare il confronto su un registro di democratico confronto.