Di Flavia Romagnoli. Da pochi giorni è giunto al termine il 2019, anno che nel suo lato “nero” ha visto, se così possiamo sarcasticamente definirlo, un pizzico di “crescita di umanità”, infatti il numero di femminicidi in Italia nell’anno appena terminato risulta essere quasi la metà di quello del 2018: facile a dirsi se pensiamo al fatto che proprio nel 2018 le vittime femminili avevano raggiunto il valore più alto mai censito in Italia, cioè 142 in dodici mesi, e che nel 2019 abbiamo avuto casi di femminicidio solo nei primi 10 mesi, per la precisione 95 casi, vale a dire circa una vittima ogni tre giorni.
Così come l’anno precedente, nel 2019 la percentuale più alta dei femminicidi resta commessa all’interno delle coppie, coppie che nella maggior parte dei casi erano ancora “unite”, cioè formate da coniugi o conviventi. In un caso di femminicidio su tre, tra quelli a noi noti ovviamente, sono stati riscontrati precedenti maltrattamenti alle vittime, tra cui minacce, percosse o stalking: con questo dato alla fine dell’ennesimo anno, possiamo quindi arrivare a confermare l’idea che il femminicidio, cioè l’omicidio di una vittima di sesso femminile, rappresenta in realtà l’ultimo anello di un susseguirsi di vessazioni e violenze, sessuali e non, che, se in anticipo, la presenza di un’efficace rete di supporto potrebbe invece riuscire ad arginare, supporto che può essere di vari generi, dal più ufficiale di tipo istituzionale al meno formale di tipo sociale o di amicizia. In questo anno sono infatti diminuiti, purtroppo, i numeri delle donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza, diminuzione dovuta sia all’“abbandono” di questi centri da parte delle istituzioni, sia, come però ci aspettavamo, al continuo aumentare di disagio nelle donne vittime di queste situazioni.
Tornando ai raccapriccianti numeri di questo 2019 appena concluso, è giusto puntualizzare il fatto che quasi l’80% dei casi di femminicidio vede assassini colpevoli italiani, contro il 20% circa di colpevoli stranieri: sono numeri che superano lo stereotipo di razza, coltivato dal cosiddetto “italiano medio”, secondo il quale gli immigrati che vengono in Italia creano solo disordine, commettendo omicidi e approfittandosi delle donne italiane. Anzi, a dirla tutta, nel 2019, il 67% delle donne vittime di femminicidio sono donne straniere con aggressori italiani. Ancor più spaventosa è la differenza rispetto al 2018 che nel 2019 le armi da taglio e gli oggetti contundenti sono state le armi più utilizzate, mentre si sono dimezzati i femminicidi commessi con armi da fuoco: ciò significa che gli aggressori provano una maggiore soddisfazione nell’assalire e uccidere le donne tramite un contatto fisico, e non più da lontano con un proiettile.
Il lato ancora più tragico, che ci fa riflettere ancora una volta sulla spietatezza di alcuni uomini, è che una donna su due lascia figli piccoli e due su tre lasciano figli adolescenti. Inoltre, per sfatare un altro mito, secondo il quale la violenza sia appannaggio delle classi sociali più basse, c’è da aggiungere che in realtà la violenza sulle donne è “trasversale”, e che la violenza maschile è di fatto democratica, colpisce cioè donne di qualsiasi tipo e classe sociale ed è agita da uomini di qualsiasi tipo e classe sociale.
Insomma, alla base dei femminicidi c’è tanta disinformazione, ed è proprio su questo che dovremmo puntare per un futuro migliore per le donne: speriamo in un 2020 più ricco di centri antiviolenza, più informato sul ciclo della violenza, più coraggioso che spinga le donne a denunciare fin da subito il più piccolo atto di violenza, più silenzioso senza le urla delle vittime violentate, e in generale più limpido, che veda quindi sempre meno spargimenti di sangue legati al femminicidio innanzitutto, ma anche di ogni genere.