Di Daiana Cestra. Ancora una volta Checco Zalore è riuscito a portare in tutte le sale un film da non perdere, accompagnato da  Souleymane Silla, Manda Touré, Nassor Said Berya, Alexis Michalik. Non compreso da madre patria, Checco trova accoglienza in Africa. Ma una guerra lo costringerà a far ritorno percorrendo la tortuosa rotta dei migranti. Tolo Tolo è 1° in classifica al Box Office, ieri ha incassato € 1.843.692,00 e registrato 263.175 presenze.

Spinazzola, cuore delle Murge pugliesi. Checco rifiuta il reddito di cittadinanza e apre un sushi restaurant ma, dopo l’entusiasmo iniziale, fallisce miseramente e decide di fuggire dai creditori e dal fisco “là dove è possibile continuare a sognare”: ovvero in Africa, dove si improvvisa cameriere per un resort esclusivo. Lì incontra Oumar, cameriere con il sogno di diventare regista e la passione per quell’Italia conosciuta attraverso il cinema di Pasolini. Improvvisamente in Africa scoppia la guerra e i due sono costretti a emigrare, anche se Checco non punta all’Italia ma ad uno di quei Paesi europei in cui le tasse e la burocrazia sono meno pressanti che nel Bel Paese. A loro si uniranno la bella Idjaba e il piccolo Doudou (“come il cane di Berlusconi”). Riusciranno i nostri eroi (l’espressione non è usata a caso) a portare a termine il “grande viaggio da clandestini”?
Checco Zalone, al secolo Luca Medici, questa volta non è solo interprete e coautore della sceneggiatura (insieme a Paolo Virzì, abbandonato il sodalizio con Gennaro Nunziante) ma anche regista, e si vede, perché la sua direzione è pirotecnica e schizzata come la sua vis comica, sempre pronta ad aprire mille finestre all’interno di un discorso continuamente interrotto. Nel copione si vede poco la mano di Virzì, fagocitata dalla bulimia narrativa di Checco, e la prima parte del film ne risente, meno fluida e coerente di quanto gioverebbe alla storia, soffocata da quella incessante voce fuori campo che va a sostituirsi allo sviluppo narrativo visibile. Ma a mano a mano che la storia prende ritmo e quota, acquistando la velocità crescente della farsa, si comincia a ridere davvero. In Tolo Tolo (che significa “solo solo”) ce n’è per tutti: politici incapaci dalle vertiginose carriere, migranti innamorati delle griffe (di pessima resa qualitativa), nostalgici mussoliniani (perché “il fascismo ce l’abbiamo tutti dentro, pronto a riemergere, come la candida”) e buonisti favorevoli alla “contaminazione” etnica. Nella sua rappresentazione a tutto tondo dell’italiano medio e dei suoi difetti ricorrenti, Checco fugge da un Paese “che ci perseguita”, invitando l’immediata identificazione del pubblico. Lo stesso pubblico sarà poi messo di fronte alle proprie meschinità e ipocrisie, ai suoi pregiudizi ed egoismi, nonché alla banalità di certi slogan populisti e all’inettitudine della politica. Nell’apoteosi finale Zalone affonda il colpo con una canzonetta da Zecchino d’oro che toglie ogni dubbio sulla sua posizione morale. Ma fino a quel momento si mantiene in equilibrio (da par suo) sul crinale della correttezza politica, non con qualunquismo cerchiobottista ma con la determinazione scientifica a menare fendenti a destra e a manca, colpendo a 360°.
Tolo tolo è un film di Checco Zalone perché riproduce esattamente la sua visione del mondo, un mondo che il nostro antieroe attraversa a piedi, su un pullman sovraccarico come su una carretta del mare, rimanendo fedele alla sua cialtroneria e al suo pragmatismo (almeno in parte) condivisibile, prodotto di un chiaro imprinting (sotto)culturale e delle dinamiche socioeconomiche della contemporaneità.Checco è uno specchio continuamente rivolto verso lo spettatore, il punto di contatto fra meschinità private e pubbliche ideologie. Vicino a lui il cast di origine africana rappresenta una complessità non semplificabile, un’alterità non riducibile all’etichetta di migrante. Perché in una società ingiusta siamo tutti clandestini, ed è un attimo ritrovarsi dalla parte sbagliata del confine.

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