Di Giulia Capobianco. Al giornalista piace la luce. Al giornalista piace la verità. Il giornalista vuole essere fedele al suo giuramento professionale. Non sempre però gli è permesso. Non sempre detiene tra le sue mani quella libertà di comunicare, in pace o in guerra, una sana e democratica informazione. Non sempre detiene tra le sue mani la libertà di informare senza che paghi con la sua stessa vita.

Il giornalismo è una professione affascinante. Un viaggio, alla volta della verità. Un viaggio di luce e bellezza disarmante. Un viaggio altrettanto ricco di imponenti scogli, non semplici da scavalcare o distruggere. Questo perché, molto spesso, non si hanno gli strumenti giusti per farlo, per combattere. Il giornalista muore in guerra, il rischio del mestiere. Ma il giornalista muore anche in pace, in quella dimensione che appare agli occhi di tutti come “democratica”. Appare ma non è. Appare ma non è democratica quella dimensione in cui  finisce tra le sbarre perchè ha voluto far luce sul fatto. Lo sa bene chi fa questo mestiere; lo sanno bene soprattutto gli inviati speciali quando affrontano inchieste, scomode e pericoloso: pur di raccontare, di informare, di non mollare mai l’osso.

Il giornalista è detenuto. È detenuto per aver tenuto la testa alta. L’informazione è detenuta, la libertà è detenuta. Il giornalista è detenuto per aver soltanto cercato la verità, una verità scomoda, crudele, che ha un prezzo. Una verità tanto scomoda da essere uccisi o ridotti al silenzio. C’è chi decide di rassegnarsi, “dopo anni di bugie di regime”. C’è chi invece non si rassegna e paga con la vita, con la restrizione di una libertà, che dovrebbe essere all’apice di una dimensione democratica.

Il giornalista osserva, il giornalista informa, il giornalista sa che c’è qualcosa da sapere e da dover far sapere. Ma non sempre gli è permesso. Non sempre gli è permesso di parlare. È incatenato al potere. Intrappolato, senza via d’uscita, tra la vita e la morte, tra il voler essere fedele alla sua professione e un silenzio che fa paura.

Dov’è allora la democrazia? Dov’è allora la libertà? “Libertà di informazione”, “pericolosità del lavoro del giornalista”. Binomio disarmante. Bavagli, querele, minacce, atti violenti contro giornalisti per assicurare un silenzio. Giornalisti che vivono sotto scorta, per scappare via da questo silenzio. La democrazia dovrebbe convivere con la libertà, non impedirla. La democrazia dovrebbe accudire un popolo che vuole, ma soprattutto che deve essere informato. Il giornalista muore, il giornalista è detenuto, il giornalista viene indotto alla rassegnazione. Tutto questo per il silenzio. Tutto questo per creare il buio. Quando il giornalista invece, vuole la luce.

 

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