Di Francesca Sofia Rizzo. E’ facile nella nostra vita quotidiana dimenticare realtà che sono, almeno apparentemente, lontane da noi. Se non se ne parla non esistono. Se non esistono nella percezione collettiva, allora non sono un problema, a cui non vi è così nemmeno rimedio. Il 6 febbraio è la giornata internazionale contro le mutilazioni femminili: questa ricorrenza ci permette di portare all’attenzione di tutti una terribile pratica che colpisce circa 200 milioni di donne e bambine in tutto il mondo, condannate ad atroci sofferenze. Secondo l’UNICEF, solo nel 2020 sono a rischio oltre 4 milioni di bambine e donne.
Il primo passo affinché le cose cambino è la conoscenza: UNICEF e ONU hanno avviato attività di sensibilizzazione e testimonianza per far conoscere alle donne i propri diritti e per modificare le convenzioni sociali che legittimano queste pratiche diffuse in 31 paesi nel mondo. Negli ultimi trent’anni circa, c’è stata una diminuzione dell’incidenza delle mutilazioni genitali femminili e sono diverse le legislazioni nazionali che le vietano. Nonostante questo, in alcuni paesi è una pratica ancora troppo diffusa, seppur illegale. Solo in Somalia ne sono vittima circa il 98% delle ragazze, costrette così a nascondere nella propria intimità un dolore indicibile.
Uno dei pochissimi film che trattano l’argomento e tramite il quale si può iniziare a capire il fenomeno è ”Moolaadè”, vincitore di ”Un certain regard” al Festival di Cannes 2004: un racconto vivido, realistico e nello stesso tempo simbolico sullo scontro tra le remote e crudeli superstizioni e l’azione emancipatrice delle donne che si oppone ad esse.
Contraria alla “Salindè”, la pratica della mutilazione permanente degli organi genitali femminili, una donna di un villaggio del Burkina Faso ricorre alla “Moolaadè”, il rispetto del diritto d’asilo, per sottrarre quattro bambine fuggitive all’atroce usanza. Pratiche tribali antichissime, nate come forma di controllo, per impedire alla donna di avere rapporti sessuali prematrimoniali, all’interno di una società patriarcale e radicalmente maschilista.
Tutte le donne hanno il diritto alla loro integrità fisica e mentale, nonché il diritto al proprio piacere, alla determinazione della propria vita sessuale, libere da inferenze esterne.
Questo argomento si può declinare in tanti altri aspetti della vita delle donne, anche in paesi considerati più paritari in questioni di genere. Basti pensare, anche nell’Italia di oggi, agli stereotipi che ancora gravano sulla libertà delle donne di vivere la propria sessualità e la propria vita in generale. Nessuna ha il dovere di scegliere tra l’essere madre o lavoratrice, santa o ”puttana”. Essere donna può voler dire essere questo o nulla di tutto ciò. Spetta alla donna, alla persona, di definire se stessa e la propria vita.