Di Elisa Fralleoni. Cinque mesi e dieci giorni di reclusione con la condizionale. È stata questa la condanna imposta, in seguito alla richiesta di patteggiamento da parte del pubblico ministero, ad Anastasia Conti, responsabile della morte del giovane Domenico Crisafulli (meglio conosciuto come “mimmo”) avvenuta a seguito di uno scontro della sua Smart con lo scooter del ragazzo, la sera del 6 marzo del 2017, all’altezza dell’incrocio tra via Del Bosco e via De Logu, a Barriera (Catania). La scena venne immortalata da una telecamera istallata all’interno di una clinica accanto. Furono proprio quelle immagini a confermale la piena innocenza del giovane, addossando la colpa alla donna, responsabile dell’omicidio stradale per non essersi fermata allo stop. Chissà quante volte prima di allora la signora era passata per quelle vie senza dare la precedenza. Un gesto banale, quasi scontato, che però si è rivelato fatale per il venticinquenne padre di due bambini.

Da allora la sua famiglia non si è mai data pace, mobilitandosi giorno dopo giorno, portando avanti un caso che lo stesso PM era deciso ad archiviare. Eppure, il padre della vittima, Pietro Crisafulli, non si è arreso, ha proseguito attraverso manifestazioni, continuando sempre a credere nel potere giudiziario, chiedendo giustizia per quel figlio a cui ha dovuto dire addio troppo presto. Poi quest’anno l’ennesima beffa, la ridicola condanna di cinque mesi e dieci giorni per la donna responsabili di aver tolto una figura paterna a due bambini ancora troppo piccoli per capire la gravità dei fatti. Per la procura il “non fermarsi allo stop” non è un elemento rilevante. La cosa peggiore? Ad Anastasia in questi anni non le è stata revocata la patente di guida. Mentre la famiglia di Mimmo si recava al cimitero a porgere un fiore, la signora era libera di andare dove meglio credeva per le strade della bella Catania.

Alla lettura della sentenza il padre della vittima si è improvvisamente accasciato a terra in aula, al punto tale da essere trasportato con il 118 in ospedale: “La giustizia italiana non funziona. Chi non si ferma allo stop è senza ombra di dubbio colpevole di omicidio stradale e, pertanto, dovrebbe essere condannato alle massime pene concepite dalla giustizia italiana che non funziona. Il patteggiamento ha ucciso nuovamente mio figlio, offeso me, i suoi figli, e la mia famiglia. Era tutto finto, la volontà palese era quella di archiviare il processo, come già avevano tentato di fare, gettandolo nel dimenticatoio e mascherando tutto con 5 mesi e dieci giorni. L’atteggiamento di un procuratore generale che non si degna nemmeno di rispondere, seppur tirato in causa, la dice lunga su quanto sia avvenuto. L’unica speranza che ci resta è appellarci alla corte europea. Sono molto deluso dalla magistratura che non ha nessun rispetto, per i morti. Lotteremo fino alla fine per avere giustizia, anche sé sono sempre più istigato al suicidio. Aveva ragione un noto personaggio, che andrebbe riformata la giustizia ed aggiungo, rimossi i tanti magistrati, che offendono la dignità di chi soffre. Giustizia Italiana inesistente.” Queste le parole colme di dolore di Pietro Crisafulli dopo essersi ripreso dalla sentenza shock.