Di Mirko Vinci. “Ti ho scritturato per fare l’attore, non il cowboy televisivo”. Il dilemma che infesta le giornate di un attore e della sua controfigura, protagonisti della nona fatica di Quentin Tarantino disponibile su Sky Cinema, è una delle problematiche più comuni quando si è sotto ai riflettori. Che ci si dimentichi del Tarantino splatter all’ultimo sangue, perché il noto regista premio oscar ha scelto di stupire in tutti i sensi, immergendosi nei dettagli di una Hollywood durante il periodo che il mondo ricorda con il nome di Charles Manson. Essere all’apice della propria carriera ed essere scritturati per innumerevoli ruoli è qualcosa di esaltante, ma vi è un’altra cosa certa quanto la fama, a cui tutti i grandi nomi prima o poi rischiano di andare incontro: l’oblio. Che sia paura di essere dimenticati, di ricoprire ruoli marginali o addirittura vedersi privati del proprio mondo proprio come accade oggi a causa delle restrizioni dettate dalla pandemia del coronavirus poco importa: il senso di frustrazione è un fedele compagno. È proprio qui che emerge chi si è davvero, perché proprio quando ci si trova alle strette, quando ogni mossa o ogni decisione potrebbero essere decisive a salvare l’immagine o la carriera, potrebbe venire fuori la vera essenza dell’essere umano. Tornare alla ribalta molte volte è qualcosa di concreto, altre volte un concetto assolutamente utopico. Hollywood è la terra dei sogni ed è ciò che emerge dalle fantastiche inquadrature della pellicola, ma come ci viene insegnato dal non giudicare un libro dalla copertina è chiaro che vi sia un lato nascosto di questo paradiso che sembra permettere tutto: il lato marcio della mela. Un lato che molte volte distrugge vite, autostime o carriere spesso e volentieri solo perché non si è abbastanza giovani o abbastanza attraenti. Un’industria dai meccanismi delle volte spietati che prevede giocatori che sappiano perfettamente come funzionino le regole. Tutti ricordiamo Sharon Tate, una delle vittime dei seguaci di Manson. Tate rappresenta la purezza e lo spirito di avventurarsi di ognuno di noi in questi regni utopici, facendo da sfondo alle vicende dei protagonisti per tutto il corso della pellicola, come se fosse la purezza fatta donna della megalopoli rimasta incontaminata. È noto come a Tarantino piaccia stravolgere gli eventi storici intraprendendo finali simbolici al di là della realtà stessa dei fatti: delle volte più che rendere omaggio ad un massacro è tanto meglio rendere omaggio ad un’immagine o ad una persona, fantasticando cinematograficamente parlando su come sarebbero potute andare diversamente le cose.

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