Di Elisa Appollonis. Camminare per strada e sopportare sguardi insistenti ai quali si aggiungono proposte indecenti, fischi, parole e apprezzamenti non richiesti, questo è quello che vivono sette donne su dieci ogni giorno. Si tratta di una vera e propria molestia verbale: il catcalling, un fenomeno sempre più diffuso, diventato in molti Paesi un vero e proprio reato.
Mi chiamo Elisa, sono una donna e vorrei vivere in un mondo in cui potermi sentire libera di indossare ciò che voglio senza dover aver paura di camminare da sola in una piazza, per strada o in un parco. Sono Elisa, sono una donna e vorrei vivere in un mondo fatto di rispetto.
Secondo uno studio condotto dalla Cornell University nel 2015, quasi l’80% delle ragazze intervistate in Italia ha dichiarato di aver subito almeno un episodio di catcalling al di sotto dei 18 anni.
Una gonna e del rossetto non possono e non devono far sentire un uomo autorizzato a prendersi certe libertà nei confronti di una donna.
Siamo quotidianamente ricoperte di sguardi e parole che ci imbarazzano, intimoriscono e disgustano allo stesso tempo. Mi rendo conto di quanto tutto questo tristemente accomuni noi donne: per strada, al bar, sul posto di lavoro e in tanti altri contesti come se essere trattate così rientrasse nella “normalità”.
Qualsiasi molestia ricevuta, sia fisica che verbale, segna la persona nel profondo, quasi si sentisse colpevole di un gesto offensivo ricevuto da altri, colpevole per aver indossato una gonna corta, un vestito scollato o dei jeans aderenti. A tutto questo si somma il forte sentimento di rabbia per l’impossibilità di reagire per timore di una reazione. Vittime di impotenza, disagio e vergogna. È importante sensibilizzare su questo aspetto: chi deve vergognarsi dell’accaduto non è chi lo subisce, ma chi lo fa.