Di Giulia Orsi. La periferia è sempre messa sotto lente reticolare dai registi, sfruttata come bacino inesauribile di storie di una umanità multipla e variegata e proprio da questa fonte hanno attinto i fratelli D’Innocenzo per  il loro film Favolacce.  La storia è incentrata su gruppo di diverse famiglie originarie di una piccola provincia di mare. A queste famiglie non manca nulla se non la felicità, ed ognuno prova a sopperire alla sua assenza con vari espedienti, feticci di questa ma che a largo giro sono solo incipit di distruttività.  Si mostra la faccia mostruosa del concetto di “famiglia”, dove la persona più prossima a noi è quella che conosciamo di meno. Non serve condividere pasti, attività, progetti, letti e divani se basta chiudere a chiave i propri pensieri per diventare totalmente estranei. Proprio così Favolacce, uscito giustappunto durante la pandemia del 2020,  sembra suonare come un presagio di come molti di noi si sono ritrovati, per via della reclusione, ad avere convivenze forzate, e  lo stesso capita nel lungometraggio dove i maschi, perché uomini non sono, sono violenti e rabbiosi e le donne silenziose e passive, entrambi  ricalcano i modelli insiti della società patriarcale ma la differenza sta che le due parti non sono interpretate da chi il ruolo lo padroneggia, piuttosto i personaggi sono retti solo dalla vacuità e dall’aggressività che questo senso di vuoto scatena nel singolo. Apparentemente tutto è al suo posto ma, come si usa dire, nulla è in ordine: le aspettative sono state disattese, i sogni sono stati spezzati e non c’è nulla a cui aggrapparsi neanche i propri affetti, neanche i propri figli che sono le prime vittime di questi adulti, tali solo nella loro conformità fisica. La voce narrante è di Max Tortora ma è inframezzata dalla lettura del diario di una della bambine protagoniste e qui c’è la netta cesura fra mondo degli adulti ed il mondo dei bambini che alcune volte si intrecciano ma non ci sono patteggiamenti fra le due parti.  Il personaggio principale di questo mondo fatto di ignoranza è quello di Elio Germano, che recita a menadito il ruolo del padre ma che non sa ascoltare i suoi figli, anzi i figli sono più intelligenti e colti di lui, che riesce solo a portare avanti la durezza, il pugno di ferro conferitogli dal suo ruolo che non porta a nulla se non  alla repressione de i suoi figli, che però riescono a capire che quello che sta avvenendo non è la vita ma la messa in scena di questa. Il film è disponibile sulla piattaforma Amazon Prime ed è stato candidato a ben cinque Nastri D’Argento, un grande risultato per due registi neofiti che sono solamente alla loro opera seconda.