Di Francesco Stefanelli. 2006, MySpace è il primo prototipo di social network, Messenger è al suo picco e la rivista “Cioè” iniziava ad accusare la sua scomparsa tra le generazioni di adolescenti. In piazza si stagliavano molteplici comitive, ognuna contraddistinta da interessi e mode. Una di queste è la comunità “emo” e un disco in particolare sta spopolando sulle pagine di riviste come Rolling Stone e Kerrang facendoli esaltare, e in tutto il mondo i freak si stanno riunendo sotto un’unica bandiera. l’album in questione è The Black Parade dei My Chemical Romance. Abbreviandoli in MCR, il gruppo statunitense si è ormai imposto come un caposaldo del genere punk/pop punk, grazie anche alla creatività sconfinata del frontman Gerard Way. Il terzo album in studio fa immergere l’ascoltatore in una parata, dove figure tetre marciano in quella che apparentemente sembra una marcia funebre. L’LP è un concept album dove viene narrata la storia di un ragazzo che sta per morire e di come possa essere l’aldilà. Come in una storia, The End, questo il titolo di apertura dell’opera, invita l’ascoltatore a sedersi e ad ascoltare la storia di un giovane, che verrà identificato come “the patient” dove a malincuore scopre che presto morirà a causa di una malattia incurabile. Questa si allaccia immediatamente col brano successivo Dead! ,  una ironica riflessione sul mondo che si è vissuti e un pensiero al mondo che verrà nell’aldilà. This is How i Disappear è un enorme flashback della vita del Paziente, dove ricorda l’amore della sua vita, le sue esperienze fatte e quelle non fatte. Un amore non corrisposto a causa dell’alcol e della droga danno fondo a The Sharpest Lives. Non tutte le esperienze della vita a volte sono piacevoli e spesso tornano a tormentare fino alla fine. Il ricordo di un padre che porta il figlio a vedere una parata è la cornice di Welcome to the Black Parade. Il rullante all’inizio dà sfogo alla banda per incalzare una marcia funebre punk, “We’ll carry on, we’ll carry on and though you’re dead and gone, believe me

your memory will carry on”  urla Gerard Way nel chorus, dove nonostante l’incombente fato la vita deve comunque proseguire, diventando paradossalmente un inno alla vita. I demoni che affliggono il paziente da una vita trovano la loro incarnazione nella giovane fiancé in I Don’t Love You, esprimendo le paure del protagonista verso una relazione tossica che potrebbe portarlo alla rovina. Come una confessione dei propri peccati, in House of Wolves il paziente ripercorre gli errori e i peccati commessi durante la sua vita e cerca in tutti i modi di redimersi per non finire all’inferno. Cancer non è solo una canzone, ma è una esternalizzazione delle sensazioni che si provano negli ultimi istanti di vita, ponendo in controluce il dramma non solo di chi è afflitto da un male come il cancro, ma anche chi circonda i malati affetti da esso. I peccati commessi in guerra si ripercuotono sul paziente, che cerca il perdono e il conforto della madre. Mama quindi assume un duplice significato: non solo la figura genitoriale che ci dà alla luce, ma anche la grande guerra che spinge a commettere atrocità per suo volere. Sleep è un racconto di esperienze di paralisi nel sonno che colpirono il cantante Way durante le nottate negli alberghi. Teenagers si distacca dal concept del paziente, ma non del tutto. La canzone è un inno alla gioventù che deve ribellarsi agli sbagli che i genitori hanno perpetrato a loro, di andare avanti con la vita e di non rimanere bloccati nel passato, come fa appunto il paziente in fin di vita. La delusione e il disincanto in Disenchanted porta a far riflettere sulla vita e di come a volte i sogni non si avverano nella maniera in cui si erano immaginati. Viene intesa anche come metafora dello sconforto della band verso quel successo ricercato e chi rivelò per niente rosa e fiori. L’ultima traccia, Famous Last Words riassume in pieno l’intero significato dell’album. La vita è costellata di dolori, di sofferenze e di errori, ma ciò non vuol dire che bisogna abbattersi e soccombere. La vita va vissuta a pieno, perché non si può mai sapere quando e quali saranno le ultime parole.

di Francesco Stefanelli