Di Madalina Ilincuta. Quando una madre ama più la droga che il proprio figlio, distrugge più vite contemporaneamente: la dipendenza affettiva si trasforma in tossicodipendenza.

Nonostante ‘’Elegia Americana’’ sia stato distrutto dalla critica, è un film che affronta innumerevoli tematiche, partendo dal ‘’sogno americano’’ sino alla rottura del rapporto madre-figlio.

J.D Vance vive il suo momento di massimo splendore, è uno studente di giurisprudenza a Yale e sta per avere una grande occasione: lavorare per uno studio rinomato.

Ma proprio quando la vita sembra sorridergli, deve fare i conti con il passato. E’ costretto a tornare nella sua città natale per l’ennesima overdose della madre.

Il protagonista rappresenta una figura lacerata tra presente e passato e forse anche l’archetipo ‘’hillbilly’’ dell’Ohio, i cosiddetti campagnoli d’America: un’infanzia dolorosa, una madre tossicodipendente, violenza domestica, problemi economici ed un futuro di miseria già segnato. Ma nonostante le disfunzioni familiari, J.D è riuscito a farsi strada, diventando il simbolo di quelli che, nonostante tutto, ce l’hanno fatta.

I bambini con genitori tossicodipendenti vivono un profondo dissidio interiore: devono scegliere tra la loro vita o proteggere quella dei loro cari.

Come J.D, molti bambini crescono in fretta, cercando di riparare i danni di coloro che dovrebbero proteggerli. Vivono una instabilità affettiva, relazionale e mentale che li porta inevitabilmente a rompere il cordone ombelicale. Grazie ai vari flashback, in ‘’Elegia Americana’’ si percepisce il disagio che i figli provano: vivere con un via vai di uomini, in una casa sempre nuova, con una madre che ha innumerevoli esaurimenti nervosi non dev’essere il tipo di infanzia che un bambino si merita, soprattutto quando chi dovrebbe amarti, ama più la droga.

“La famiglia è l’unica cosa che conta. Lo imparerai”: aiutare la propria madre, a tal punto da rovinarci la vita, è un dovere? Il legame di sangue non è un vincolo, quando ci troviamo davanti a persone consapevoli, che scelgono il dolore al posto dell’amore, non bisogna sentirsi in colpa a voler scappare, a sognare un futuro lontano da una casa colma di traumi.

La nostra casa è inevitabilmente il luogo dove abbiamo vissuto sin dal primo giorno, ma non dev’essere necessariamente quello dove moriremo. C’è chi sceglie una vita migliore, nonostante sia nato in un paese povero o in una famiglia disastrata perché “Il luogo da cui veniamo è chi siamo, ma scegliamo ogni giorno chi vogliamo diventare”. L’amor proprio deve superare il peso delle origini.

Alla fine del film scopriamo che la madre di J.D ha subito molti abusi e traumi psicologici quando era piccola, e la figlia cerca di giustificarla con la tipica frase ‘’ha avuto una vita difficile’’. Questa può essere una giustificazione per quanto riguarda i comportamenti violenti della donna, o per i suoi squilibri mentali, perché un bambino non può decidere come la propria psiche verrà influenzata, ma non è una giustificazione per la sua tossicodipendenza. Come hanno fatto J.D e la sorella, anche lei poteva chiedere aiuto e vivere una vita migliore, nonostante le difficoltà. Doveva amare i figli più che odiare i suoi stessi traumi. Evadere dalla realtà è passeggero, distruggere delle vite innocenti è per sempre: il suo passato non è servito da lezione. Ma si sa…per stare bene con se stessi è necessario attraversare molte sofferenze e non tutti sono disposti a farlo.

Ci si chiede però, fino a che punto incolpare chi non riesce ad uscire dal circolo vizioso della droga. Forse siamo sempre pronti a dare giudizi ma mai a guardare in profondità.

J.D è l’emblema dell’immigrato, di colui che vuole emanciparsi dalla propria sofferenza e lasciarsi indietro il passato, ma che inevitabilmente sconta la difficoltà dei traumi dentro si sé. É facile cambiare paese, stile di vita e contornarsi di bontà, ma nel profondo chi non rimargina le proprie ferite non riuscirà mai a placare il tormento.

E’ purtroppo vero, che l’influenza genitoriale non conosce distanze spaziali ne’ temporali: lasciarsi alle spalle un’infanzia difficile non è facile come impacchettare una valigia e varcare la soglia di casa. L’unica cosa che J.D può fare è accettare il fatto che la madre che meritava, non è mai esistita, e che il suo bisogno di amore, è un bisogno che sua madre non ha mai saputo soddisfare. Ed è proprio questa evoluzione che vediamo in ‘’Elegia Americana’’: come in un romanzo di formazione, vediamo il protagonista sbocciare e diventare la versione migliore di se stesso. Perché non importa quanto abbiamo sofferto, quanto siamo stati feriti, denigrati, distrutti…chi ha il coraggio di credere in se stesso, può farcela. Senza mai guardarsi alle spalle, ma pur sempre accettando ciò che si è stati, si possono stringere i pugni e amare la vita, apprezzarne la bellezza raccogliendone i fiori più belli.

Elegia Americana è un film fatto di sofferenza e voglia di riscatto, non risparmia allo spettatore il dolore e la sconfitta di una famiglia che ha vissuto sulla propria pelle, l’altro lato della medaglia del sogno americano.