Di Mirko Vinci. “Questo la fece riflettere. Raccontava qualcosa di come il mondo esterno la vedesse”. Il femminicidio è una realtà. Ogni giorno, il mondo si macchia di violenze e discriminazioni: la tanto discussa parità di genere, nonostante le lotte che vengono affrontate quotidianamente, sembra purtroppo ancora un sogno lontano. I casi di cronaca parlano chiaro: i tassi di femminicidio sono dei fenomeni spaventosi, quotidiani e diffusi. Utile immergersi nell’atmosfera psicologica offerta da Niels Arden Oplev, per capire meglio l’argomento. “Uomini che odiano le donne”, basato sul bestseller di fama internazionale, disponibile su Prime Video, è l’esempio calzante di cose sia capace la più pericolosa tra le creature al mondo: l’essere umano. La pellicola gira intorno ad una serie di femminicidi rimasti irrisolti, sui quali indagheranno un giornalista, interpretato dall’affascinante Daniel Craig, ed una cyber esperta dal passato oscuro, interpretata dalla candidata al premio Oscar Rooney Mara. Abusi, ricatti sessuali, violenza fisica, violenza psicologica: un turbine di immagini chiare, limpide, che possono si turbare lo spettatore, ma metterlo di fronte allo scenario che ogni giorno si cerca di posizionare lontano dall’immaginazione, nascondendosi dietro al “tanto non capiterà a me”. Questo è l’errore più comune, non prendere posizione o non lottare per una tematica così importante solo perché si pensa che quel tema non ci riguardi da vicino, quando la verità è che nella vita di certezze del genere non ce ne sono. È un problema da analizzare con la lente di ingrandimento come se ne fossimo stati noi stessi i protagonisti: non possiamo escludere che l’orrore di cui milioni di donne sono protagoniste ogni giorno non ci riguarderà mai o che non toccherà qualcuno a noi vicino. Una pellicola che palesa il modo in cui l’uomo tende a manifestare la sua supremazia tramite la forza, tramite la sottomissione, tramite tutto ciò che distingue l’essere umano dall’animale. Ne segue l’isolamento, la convinzione che la vita sia quella, che niente possa cambiare e come in molti affermano te la sei anche “andata a cercare”. Fino a quando la solidarietà, fondamentale per una lotta del genere, si ridurrà ad un avere timore nel parlare o raccontare cosa si è vissuto perché si è aspettato troppo nel farlo, non ci saranno mai troppi passi avanti. La verità è che non si può pretendere da una vittima di violenza un arco di tempo in cui elaborare un trauma e raccontarlo: non si può sapere cosa quella persona ha vissuto sulla sua pelle e di quanto tempo ci sia bisogno per elaborarlo.