Di Francesco Stefanelli. Si è già parlato di loro, di quell’Lp , Around the Fur , che ha li ha portati ad essere conosciuti a livello mondiale e da headliner per i maggiori festival del settore. Ma i Deftones dovevano ancora partorire il masterpiece di eccellenza, l’album generazionale per antonomasia che li avrebbe consacrati per sempre tra le schiere dei teenager “disadattati” di ogni angolo del globo. Nel 2000 White Pony vide la luce. Il lavoro più maturo, complesso, criptico, viscerale del gruppo californiano. Tematiche più universali della vita vengono trattate in un linguaggio del tutto nuovo ma che in fondo si era già abituati con loro, cullati da sonorità prima violente e dure del Nu Metal e poi da momenti eterei e dolci dell’ambient, della Lo Fi e dello shoegaze. Chino Moreno (il frontman) qui migliora ulteriormente le sue qualità canore e compositive, regalando all’ascoltatore una performance serafica tra i pesanti riff di Stephen Carpenter e i groove coinvolgenti di batteria di Abe Cunningham. Inoltre, da questo album si consoliderà definitivamente nella lineup del gruppo la figura di Frank Delgado, tastierista e dj che saprà sfruttare gli spazi vuoti per riempirli della sua sapiente composizione. Il disco si apre con Back to School(Mini-Maggit) (nella riedizione, nella versione standard la prima track è Feticeria) , un azzardo costruito ad hoc dal gruppo per essere lanciato come singolo a causa delle incessanti pressioni della casa discografica che volevano una canzone “più pesante” ma che fosse anche radio friendly. La vera tracklist così può iniziare con la sopracitata Feticeria, e già dal titolo si evince il suo contenuto. Il feticcio verso qualcosa…o qualcuno, può portare ad azioni impensabili, magari dettate da motivi emotivi o religiosi, che possono nuocere non solo te stesso ma anche il prossimo “The machine, takes pictures of us, my jaw and my teeth hurt, i’m choking, from gnawing, on the ball”. Lo scenario si tinge di un calore intimo, il sound sì addolcisce e Digital Bath fa la sua comparsa. “You move like I want to, to see like your eyes do” sono le prime parole che si sentono nello spazio etereo che si è andato a creare. Questa canzone tratta di un’infatuazione profonda, in cui ci si scopre l’un l’altro per la prima volta in un’ottica differente “Tonight I feel like more…Tonight I” il tutto ambientato in un contesto erogeno. Elite è il track più cruda, in termini di sound, dell’intero disco. Lo scream di Moreno unito alla chitarra Granitica di Carpenter intona le grida di denuncia e di rabbia verso coloro che si sono istituiti come “l’elite” del nulla cosmico. È dura essere dipendenti da qualcosa e in questo caso la femme fatale è la droga, come viene descritta in RX Queen. RX è la prescrizione medica negli Stati Uniti, qui in duplice veste di regina. Il protagonista del brano è succube della sua regina, farebbe qualsiasi cosa per lei, persino uccidere. Vorrebbe distaccarsene ma è disposto anche ad accettare i suoi lati peggiori pur di non abbandonarla. Diametralmente opposta invece è Street Carp, un incontro con una persona di vecchia data a cui si è riluttante nei confronti, ma i sentimenti di un lontano passato orbitano ancora nella mente facendo vacillare anche nel più semplice dei momenti come quello di dare l’indirizzo di casa descritto nella canzone. Teenager è un estratto di vita di Chino, dove racconta della sua prima cotta adolescenziale. Le ambientazioni posso essere immaginate come un teen drama anni 90′ dall’obiettivo a tinta seppia. Le influenze shoegaze e Lo Fi si sentono particolarmente nella sofferta Knife Prty, in una danza di coltelli tra una coppia. Il coltello qui simboleggia sia la rivalità tra lui e lei, tra chi impugna il coltello per ferire e chi subisce, fluttuando nei ricordi di momenti felici. Menzione d’onore alle gride strazianti e cariche di emotività nel bridge di Rodleen Getsic, caricando di significato il brano. Gli eccessi della droga, in particolare della white pony (in slang statunitense vuole indicare la cocaina) trovano spazio in Korea, dove non sta ad indicare il paese, ma la “chorea”, ovvero quel malessere a livello neurologico dovuto agli eccessi di droga dove si sperimentano spasmi facciali e movimenti involontari. l’intento in Passenger era quello di creare uno scenario di un viaggio in auto, dove l’immaginazione prende il sopravvento. Qui si nota il duetto armonioso e denso di energia tra Chino e il poeta maledetto Maynard James Keenan, il frontman dei Tool. Verso la fine ecco che arriva il capolavoro di Change( in the house of flies). La più struggente nella tracklist, utilizza la metafora della crisalide per descrivere il cambiamento di un individuo. Ha molteplici significati: tra il vedere cambiare qualcuno irrimediabilmente e cercare di riportarla indietro a com’era, oppure nel cambiare qualcuno solo per il gusto di vederlo distruggersi, ridendoci sopra. La particolarità nella poetica dei Deftones sta proprio nel lasciar spazio all’interpretazione individuale, creando una sorta di connessione fantasma con tutti gli ascoltatori che vogliono far parte del loro mondo. L’ultimo brano a chiudere è Pink Maggit, il brano originale che doveva essere stand alone rispetto a Back to School. Simboleggia un trionfo personale, una rivincita, in questo caso si usa l’ambiente scolastico come scenario per quella piccola soddisfazione. E forse, a volte, bisogna ripensare al passato per cercare una propria soddisfazione.