Di Giulia Capobianco. Vivere. Vivere il tempo. Vivere il presente, con uno sguardo verso il passato e in bilico verso il futuro. Vivere quell’attimo che non ha nulla a che vedere con il tuo, il suo, il vostro tempo. Ma come si fa a cogliere il tempo? Come si fa a conoscere l’attimo che dovrebbe esser gestito con quegli arnesi giusti, dalla forma appuntita e tagliente, che aprono la porta dello specchio e della libertà?

Gestire il proprio tempo significa conoscere se stessi. Significa crescere, guardare all’interno del proprio specchio, della propria anima, della propria libertà. Il tempo va colto. Il tempo ci trasporta in quella dimensione consapevole in cui ognuno di noi ha il proprio spazio, e un ritmo arbitrariamente unico. Un tempo breve, un tempo lungo. Un tempo non è mai giusto o sbagliato. Un tempo che può essere confuso e pretenzioso. E’ un percorso catartico in cui la paura sembra esser la guida. Una guida costruttiva verso la stanza, quella più complessa, quella degli specchi.

Nella stanza degli specchi abbiamo diverse prove da superare. L’obiettivo è unico per tutti, ma il tempo, il proprio tempo è differente per chiunque. L’obiettivo è conoscere, grazie alla guida, grazie a quella insistente e permanente paura, l’essenza, la forza, la libertà. La paura è catartica, è la guida, ma alle volte è anche un ostacolo per noi giornalisti di vita. La paura rompe i cocci di una parvente sicurezza. L’ansia nasconde la vera essenza, scaraventando fuori, difronte ad uno stimolo, le lacrime, il silenzio. Non riusciamo, senza il gioco degli specchi, ad esprimere il nostro essere. Perché non guardiamo il riflesso, perché alle volte il vapore dell’ansia ne impedisce la corretta visione.

La paura è lì, che ci guida verso il nostro tempo. Un tempo prezioso, galantuomo, che restituisce risposte. Ma le risposte possiamo averle solo scavalcando la guida e togliendo il vapore dallo specchio con lo straccio dell’onestà. Fermiamoci e guardiamoci. Guardiamo il desiderio di essere liberi, il desiderio di avere il nostro tempo. Noi giornalisti di vita dobbiamo respingere il silenzio, detenerlo, incatenarlo. Mentre quella libertà di esprimersi, di rivelare la nostra essenza, di rispecchiarsi in quei vetri che finalmente brillano…quella…quella prova solo allora sarà superata.

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