Di Virginia D’Itri  È stata la prima corrispondente di guerra femminile, la prima reporter straniera alla quale viene concessa la possibilità di immortalare la realtà dell’Unione Sovietica e la prima donna che si unisce alla rivista Life di Henry Luce negli anni trenta del Novecento. Questo e tanto altro per Margaret Bourke-White

“La mia vita e la mia carriera non hanno nulla di casuale. Tutto è stato accuratamente progettato”, scrive così l’artista all’interno della sua autobiografia, classificandosi tra quelle intellettuali che hanno unito i mezzi del fare e del sapere per rivendicare la loro presenza in una società che sta prendendo coscienza sull’ineguaglianza di generi.

Una donna attiva e professionale, affascinata dall’industria, dagli edifici vertiginosi che la circondano in patria, così come è avvinta dalla volontà di mettersi in gioco e farsi spazio in altre terre. Il desiderio di denuncia la spinge sulle scene europee del secondo conflitto mondiale, dove nascono immagini strazianti che documentano l’avanzata del nazismo, l’incombere della guerra e le sue conseguenze nei volti spaventati, posti aldilà del filo spinato. Identità che oggi sono impresse in una buona parte dei nostri libri di Storia.

Ritrae anche Stalin, l’India di Ghandi, fino ad approdare nell’apartheid del Sud Africa.

Tutto ciò è visibile dal 21 Settembre 2021 al 27 Febbraio 2022; il Museo di Roma in Trastevere ospita fotografie dell’artista, immagini provenienti dall’archivio della leggendaria rivista newyorchese e soprattutto incentrate sulle variazioni che si stanno innestando in quegli anni.

L’esposizione permette ai fruitori di immergersi nelle strade che la fotografa ha percorso: inizia il suo viaggio come una semplice ragazza, mossa dall’ambizione di elevarsi alla stessa altezza di quei grandi congegni che stanno alterando il mondo e il traguardo più significativo lo raggiunge con le attività informative riguardo alcuni aspetti contemporanei, come la segregazione razziale, il sogno americano, la meccanizzazione o l’emancipazione femminile.

Un’occasione per tastare da vicino la sensibilità con la quale estrae il tempo assordante e lo inserisce in una cornice silenziosa, ricca di tematiche realistiche e pungenti che non possono essere cancellate perché la storia è sempre viva, noi ne siamo il risultato e per questo abbiamo il dovere di ricordarla.