Di Daniele Annibali. Crimine. Giustizia. Rapporto uomo/donna. Potere. Violenza. Guerra. Falsità. Sono tutte tematiche che sono sempre esistite nella storia dell’uomo. Eppure, al giorno d’oggi, sono ancora attuali. Passando dal passato al presente, o dal presente al passato, ci accorgiamo che lo stato d’animo dell’essere umano non è mai cambiato, non cambia e non cambierà mai. Rimarrà per sempre corrotto dai propri intenti ideologici. The Last Duel, film di Ridley Scott uscito il 14 ottobre di quest’anno, racconta esattamente questo. La verità diviene succube dei propri scopi personali, divenendo falsità.

Il film assume una narrazione stratificata, raccontando un criminoso atto di adulterio secondo il punto di vista di ognuno dei tre protagonisti. Jean De Carrouges (Matt Damon) accusa, Jacques Le Gris (Adam Driver) si difende e Marguerite De Carrouges (Jodie Comer) rimane la vittima. Ad ogni capitolo la storia ricomincia, ma con la prospettiva cambiata. Questo tipo di sistema narrativo omaggia uno dei film più importanti della storia del cinema: Rashomon (1950) di Akira Kurosawa. Oltre ad essere stato fondamentale per l’elaborazione di un linguaggio cinematografico “oggettivo”, distaccato e ingannevole, Rashomon offre degli spunti “soggettivi” allo spettatore.  È esattamente questo l’aspetto fondamentale di entrambi i film. The Last Duel non presenta un montaggio classico, ma bensì è strutturato in tal modo da far riflettere lo spettatore. È lo spettatore il vero giudice, e in quanto tale, rimarrà sempre con qualche incertezza.

Con una regia incisiva e persuadente, Ridley Scott mette in scena un film storico avvincente, scorrevole e profondo, firmando uno dei migliori prodotti degli ultimi anni.

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